giovedì 25 gennaio 2007

I costi della "falsa coscienza"

Technorati Profile

Feed XML offerto da BlogItalia.it


Essere gay, divorziati, conviventi, poveri o malati terminali può essere molto pericoloso. C’è sempre qualcuno che vuole aiutarti.

Non esiste soltanto il fondamentalismo islamico. Altre istituzioni si ergono a paladini della Verità. Ma la storia ci ha insegnato che un movimento verso una direzione crea una forza uguale e contraria. Ed in mezzo alle due forze ci sono tessuti sociali ed economici che si disgregano. Il Fondo Monetario Internazionale ha portato sul lastrico intere nazioni a tutto vantaggio delle classi dominanti dei paesi sviluppati. La Chiesa Cattolica, altresì, non tiene conto delle minoranze culturali e delle esigenze di società dinamiche ed interdipendenti.
Il clero si comporta come il Fondo Monetario Internazionale. Entrambi si appropriano di congetture teoretiche derivanti da una tradizione lontana e iniettano le susseguenti “soluzioni” nella società civile. Il problema è che a determinate domande si risponde con adeguate risposte, ed ogni situazione è diversa dall’altra. Inoltre sembra, per quanto riguarda il FMI, che la scienza economica e le teorie dello sviluppo si siano fermate ad Adam Smith e Jean-Baptiste Say.
John Maynard Keynes, colui che più di chiunque altro è riuscito a mediare tra l’economia pianificata e il liberismo sfrenato, è del tutto escluso dai suoi tecnocrati[1]. Queste soluzioni, prese per vere “a priori” si assolutizzano, ed in seguito si sedimentano sui popoli e soprattutto sulle classi svantaggiate, senza prendere in considerazione le particolarità dei diversi contesti socio-culturali. Tali politiche, di fatto, sono anti-storiche.
Entrambe, inoltre, cercando di risolvere i danni del sottosviluppo, inteso dalla chiesa come incapacità di una lettura corretta degli insegnamenti di Cristo e dal FMI come condizione di povertà materiale, non fanno altro che corrodere le società e moltiplicare i problemi. Le società, in questo modo, diventano sempre più decadenti sia dal punto di visto religioso sia dal punto di vista del reale benessere civile misurato dall’Indice di Sviluppo Umano[2].

Il FMI rende impossibile lo sviluppo dei paesi sotto-sviluppati. il Premio Nobel Joseph E. Stiglitz, la accusa di essere un'istituzione manovrata dai poteri economici e politici del cosiddetto Nord del mondo e di peggiorare le condizioni dei paesi poveri anziché adoperarsi per l'interesse generale. Egli accusa il Fondo Monetario di aver imposto a tutti i paesi una "ricetta" standardizzata, il “Washington Consensus”, basata su una teoria economica semplicistica, che ha aggravato le difficoltà economiche anziché alleviarle. Il Washington Consensus è basato sulla non recente teoria neoliberista la cui ricetta prevede il ridimensionamento dell’intervento pubblico nell’economia, deregulation e rapidità della liberalizzazione e delle privatizzazioni[3]. Esattamente ciò che un’economia fragile non può permettersi. Esattamente ciò che favorisce i paesi industrializzati e gli speculatori finanziari.

Analogamente i vertici della Chiesa Cattolica continuano ad impostare un discorso dogmatico fondato sulla tradizione per conservare il tessuto sociale e mantenerlo nei binari della “Verità”, che appunto essi stessi ritengono di possedere. E’ plausibile che la chiusura al dialogo con altre voci della società civile rappresenti un ultimo arroccamento di un soggetto accerchiato che si sente ormai sommerso dalla modernità. Ed è altresì accettabile supporre che dietro la retorica si nasconda una strenua difesa della posizione acquisita all’interno dell’universo immaginifico dei credenti, e un sussulto di credibilità fondata sulla coerenza. La coerenza è un’arma psicologica importante poiché insistere sugli stessi argomenti e ritenere che siano gli unici possibili innesca un senso di sicurezza in personalità particolarmente predisposte.

Nel divenire delle dinamiche umane, uno scoglio inamovibile è destinato ad essere sommerso. Per ricostituire davvero gli interessi particolaristici anche di determinati gruppi di potere, è necessario in realtà assecondare la corrente.

Il cardinale Camillo Ruini, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, risponde a quanti hanno criticato la scelta dei vertici ecclesiastici di non concedere i funerali religiosi e Piergiorgio Welby. “Una vicenda umana dolorosa che mi ha chiamato in causa anche personalmente quando è giunta la richiesta del funerale religioso. La sofferta decisione di non concederlo nasce dal fatto che il defunto, fino alla fine, ha perseverato lucidamente e consapevolmente nella volontà di porre termine alla propria vita: in quelle condizioni una decisione diversa sarebbe stata per la Chiesa impossibile e contraddittoria, perché avrebbe legittimato un atteggiamento contrario alla legge di Dio”. Come a dire che sarebbe stato ragionevole celebrare il funerale, ma non sarebbe stato conforme alla volontà di Dio. Ergo, Dio non è ragionevole. Quando i discorsi si attorcigliano fra di loro, è indubbia la deliberata volontà di difendere interessi che poco hanno a che vedere con il Sacro
[4].

Cardinal Ruini insiste sulla battaglia contro i pacs. Egli ha ribadito la contrarietà della Chiesa cattolica ai pacs e alle unioni di fatto. I diritti dei conviventi e dei loro figli sono già assicurati dal «diritto comune», ha detto. Non c'è motivo di «creare un modello» legislativo che «configurerebbe qualcosa di simile a un matrimonio, dove ai diritti non corrisponderebbero uguali doveri». Ruini ha osservato che alcune coppie gay spingono per i pacs «con cui intenderebbero aprire la strada per il matrimonio» omosessuale. «Una simile rivendicazione», ha proseguito il porporato, «contrasta con fondamentali dati antropologici e in particolare con la non esistenza del bene della generazione dei figli, che è la ragione specifica del riconoscimento sociale del matrimonio». E’ inverosimile l’argomentazione basata sulla antropologia, soprattutto da parte di chi ha combattuto ferocemente contro molte delle tesi sull’evoluzione umana.
Ruini impiega i concetti scientifici come strumenti per scardinare porte che si presentano man mano sul cammino. In recenti dibattiti sul controverso tema dell’eutanasia Ruini descrisse l’embrione come “composto umano dotato di anima e corpo”[5]. L’antropologia, in questo caso, smonterebbe la sua tesi.

Ma quali sono i costi di quest’operazione di iniezione di falsa coscienza nella società civile? Innanzitutto ansia e rabbia da parte delle minoranze “diverse” o che vivono dal versante sbagliato del capitalismo[6], con evidenti ripercussioni sulla loro felicità. In secondo luogo vi possono essere veri e propri costi economici di ampia portata. Quanto influisce la scelta della Chiesa di non toccare gli embrioni per la ricerca genetica? Moltissimo in termini di vite umane e di ricerca scientifica. Quanti sono morti in Africa di AIDS per l’avversione al preservativo. Quanti malati non chiedono altro che di lasciare le sofferenze alle spalle, e sono costretti a soffrire contro la propria volontà?

Ma anche il FMI ha generato disastri. Il fondamentalismo economico del Washington Consensus, ha devastato l’economia argentina. La crescita, infatti, non era sostenibile. Si basava su un forte indebitamento verso l’estero e su privatizzazioni che vendevano le risorse nazionali agli stranieri e i cui proventi non venivano reinvestiti. Ci fu un boom dei consumi. Il PIL aumentava, ma la ricchezza nazionale diminuiva. La crescita sarebbe durata per soli sette anni, seguiti da un periodo di recessione e stagnazione[7].
Strategie deliberate fondate sull’assoluta negazione del dubbio, conducono inevitabilmente a risultati contrari rispetto allo scopo che si prefiggono. Infatti, secondo un recente sondaggio, per il 53% dei cattolici gli interventi delle autorità ecclesiastiche nel dibattito pubblico non sono corretti. Il sondaggio mostra, anzi, una forte autonomia dell'elettorato cattolico rispetto alle indicazioni ufficiali, e in particolare tra quello praticante
[8].

Arthur Schopenhauer, nella sua teoria della dialettica come arte di ottenere ragione, sostiene che non si deve prendere in considerazione la verità oggettiva per avere ragione anche perché tale verità non esiste. Per vincere uno scontro dialettico, la forma dei concetti ha la stessa importanza dei contenuti
[9].

Ruini, al fine di confutare l’ipotesi del matrimonio omosessuale utilizza un semplice stratagemma retorico: per fare in modo che l’avversario accetti una tesi dobbiamo presentare la tesi opposta avendo l’accortezza di esprimere tale opposto in modo assai stridente. Se non vuole essere paradossale, egli deve risolversi alla nostra tesi che invece appare molto probabile (stratagemma n. 13), anche perché in questo caso si basa sulla scientificità dell’antropologia[10].
Parlando di Welby, il cardinale ritiene che la sua scelta vada contro la “legge di Dio”. Lo stratagemma dialettico n. 30 di Schopenauer è l’”argumentum ad verecundiam”. Si ha buon gioco quando si ha un’autorità che l’avversario rispetta dalla propria parte. Queste autorità possono essere reali, concettuali o addirittura immaginarie, anche i pregiudizi possono essere usati come autorità. Aristotele dice: non c’è alcuna opinione, per quanto assurda, che gli uomini non abbiano esitato a farla propria, non appena si è arrivati a convincerli che tale opinione è universalmente accettata[11]. Anche l’opinione generale può essere valicata come universale. Ma la universalità di un’opinione non costituisce né una prova né un motivo che la rende probabile[12].
Altra riflessione. Umberto Eco, riprendendo Alberto Moravia
[13] denuncia la strumentalizzazione dell’essere umano per comunicare con la massa. Coni il diniego del funerale religioso a Welby, Ruini intendeva mandare un messaggio. Non fate come Welby altrimenti non vi verrà concesso nemmeno il funerale religioso, è Dio che lo vuole. Si è usata così una creatura umana come mezzo invece che come fine. Questo contrasta non solo con ogni etica religiosa ma anche con l'etica laica[14].

Concludendo. L’ideologia[15] intesa come esigenza delle classi dominanti in un dato periodo storico di presentarsi come classe universale determina la creazione di una falsa coscienza[16]. Le attuali conoscenze economiche e la lettura dei testi sacri sono dei mezzi che noi abbiamo per orientarci nel mondo nel tentativo di ridurre l’incertezza, e non dobbiamo lasciarli inerti. A meno che non ci ingannino essi stessi facendoci loro schiavi e convincendoci che sono insuperabili, perfetti e ineluttabili. E al di là di questa presunzione vi è la pretesa da parte degli enti sovra-nazionali come il FMI e la Chiesa di parlare a nome di tutti. Ciò conduce inevitabilmente a diverse conseguenze. Innanzitutto vengono configurati discorsi totalizzanti. I portatori di interessi istituzionalizzati pretendono di controllare quasi ogni aspetto della vita di un individuo, attraverso il massiccio uso della propaganda, che cerca di inculcare nelle menti di tutti i cittadini una “visione del mondo” che non è assoluta ma soltanto contestuale al tempo, allo spazio, alla storia e ai soggetti che l’hanno sostenuta.
L’ideologia è conservatrice, mantiene lo status-quo. Essa mette in atto tattiche di contenimento delle forze motrici del cambiamento al fine di salvaguardare gli interessi della classe dominante. Ma le forze sociali tendono ad entrare in contatto, ad assorbire qualcosa l’una dall’altra. Come due liquidi di di diverso peso, le idee si mischiano. L’ideologia di minoranza[17] si avvicina all’ideologia dominante mettendo in luce nuove contraddizioni e portando altre sfide e nuove elaborazioni ideologiche.
Esempio. George W. Bush difende strenuamente gli interessi americani e soprattutto della classe finanziaria e benestante della società. Muovendosi unilateralmente e rivendicando un ruolo di “gendarme”, custode della legge, gli Usa si arrogano il diritto di esportare democrazie, attaccare nazioni inerti, imporre dazi antidumping ingiustificati, inoculare neoliberismo anche quando non è necessario o ottimale. Questo movimento ha creato una forza contraria, dal popolo di Seattle ai pacifisti, dagli ambientalisti ai sostenitori di un diverso approccio alla politica internazionale. Bush stesso è stato costretto a rivedere molte delle congetture neocon e, nel recente Discorso sullo Stato dell’Unione, ha promosso un nuovo corso ecologista. Bush ha raccolto soltanto dissenso[18] poiché non è stato abile ad assorbire gli opposti, ad allinearsi con le dinamiche sociali. Gli è mancata la saggezza intesa come capacità di usare i concetti, le idee, le culture, le interpretazioni, senza assolutizzarle. In altre parole occorre utilizzare il sapere pur riconoscendone i limiti (sapere di non sapere)[19].
Sembra, invece, che Ruini, il FMI e George W. Bush abusino della loro falsa sapienza.
[1] John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, 1936
[2] L’ISU si differenzia sostanzialmente dal PIL poiché prende in considerazione più fattori legati allo sviluppo delle società: aspettativa di vita, educazione, e il PIL stesso.
[3] Stiglitz fornisce una serie dettagliata di esempi, come la Crisi finanziaria asiatica e la transizione dall'economia pianificata al capitalismo in Russia e nei paesi ex-comunisti dell'Europa orientale: i prestiti del FMI in questi paesi sono serviti a rimborsare i creditori occidentali, anziché aiutare le loro economie. Inoltre il FMI ha appoggiato nei paesi ex-comunisti coloro che si pronunciavano per una privatizzazione rapida, che in assenza delle istituzioni necessarie ha danneggiato i cittadini e rimpinguato le tasche di politici corrotti e uomini d'affari disonesti. Stiglitz osserva che i risultati migliori in materia di transizione sono stati conseguiti proprio da quei paesi, come la Polonia e la Cina, che non hanno seguito le indicazioni del FMI, mentre in Asia il modello economico che ha permesso una massiccia crescita dell'economia di molti paesi si basa su un forte intervento statale, anziché sulle privatizzazioni.Stiglitz sottolinea inoltre i legami di molti dirigenti del FMI con i grandi gruppi finanziari americani e il loro atteggiamento arrogante nei confronti degli uomini politici e delle elites del Terzo Mondo, paragonandoli ai colonialisti di fine XIX secolo convinti che la loro dominazione fosse l'unica opportunità di progresso per i popoli "selvaggi". Le critiche nei confronti del FMI hanno trovato un ulteriore argomento quando nel 2001 l'Argentina, paese che i burocrati del FMI consideravano "l'allievo modello", è andata incontro ad una terribile crisi economica. Il FMI è stato accusato di avervi contribuito con le sue indicazioni o quantomeno di non aver fatto nulla per impedirla. Joseph E. Stiglitz, La globalizzazione che funziona, 2006.
[4] Ruini ha risposto indirettamente al cardinale Carlo Maria Martini che aveva sottolineato la necessità di tenere in considerazione la volontà del malato. «La volontà del malato, attuale o anticipata o espressa attraverso un suo fiduciario scelto liberamente, e quella dei suoi familiari», ha detto Ruini, «non possono avere per oggetto la decisione di togliere la vita al malato». Il cardinale ha citato «l'ampio consenso sul rifiuto dell’eutanasia, quali che siano i motivi e i mezzi, le azioni o le omissioni, addotti e impiegati al fine di ottenerla». Ma allo stesso tempo ha bocciato «l’accanimento terapeutico», definito «il ricorso a procedure mediche straordinarie che risultino troppo onerose o pericolose per il paziente e sproporzionate rispetto ai risultati attesi. La rinuncia all’accanimento terapeutico non può però giungere a legittimare forme più o meno mascherate di eutanasia e in particolare l’«abbandono terapeutico». 22/01/2007.
[5] Si veda una aspra critica di Giovanni Sartori, Embrione anima e fede. Non si emargini la ragione. 02/01/2006.
[6] Si veda Adrian Sambuchi, Burattinai del mondo. La faccia nascosta della globalizzazione, 02/12/2006.
[7] Joseph E. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, 2002
[8] sondaggio della Swg commissionato dai Cristiano Sociali, ed illustrato in una conferenza stampa dal coordinatore del Movimento, Mimmo Lucà e da Tarcisio Barbo. 23/01/2007.
[9] Arthur Schopenauer, L’arte di ottenere ragione, 1830-31.
[10] Scientificità peraltro “parziale” visto che molte specie animali non disdegnano i rapporti omosessuali.
[11] Aristotele, Etica Nicomachea.
[12] Jeremy Bentham, Tactique des assemblées législatives, 1816.
[13] Alberto Moravia, L’uomo come fine, 1954.
[14] Umberto Eco, L’uomo come fine, da L’Espresso, gennaio 2007. Questi affronta il tema della pena di morte. La strumentalizzazione della morte è, in questo caso, finalizzata alla creazione di un messaggio. Eco Ricorda le varie analisi che i semiotici e i sociologi avevano fatto ai tempi d'oro del terrorismo nostrano. Il terrorista non ammazzava Tobagi, Casalegno, Bachelet e persino Moro perché lo odiava, ma perché intendeva inviare un messaggio a fini di destabilizzazione. La vittima non era, perciò, mirata
[15] Karl Marx, Sacra Famiglia, 1845; Miseria della Filosofia, 1847; Ideologia Tedesca, 1845. L’ideologia marxiana avverte che l'insieme di tutte le teorie filosofiche, politiche, morali, religiose non sono autonome ma, essendo prodotti umani, sono vincolate a come gli uomini vivono; per cui appaiono autonome solo in una società dove nei rapporti (Verkher) di produzione, i mezzi per produrre e l'uso di questi è diviso tra classi. In altre parole, l'ideologia è il modo di vedere la realtà di una classe sociale. Questa fu la tesi che poi venne chiamata del "materialismo storico", non avendo Marx stesso elaborato alcuna teoria generale.
[16] Per Antonio Gramsci, l'egemonia culturale prevede che un gruppo sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso le pratiche quotidiane e le credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo. Attraverso istituzioni egemonizzate dalla borghesia, come la scuola dell'obbligo, i mass media e la cultura popolare, le masse dei lavoratori sarebbero state indottrinate verso una falsa coscienza, acquisendo valori, come il consumismo ed il nazionalismo, che li allontanavano dalla rivoluzione che, nell'idea marxista, avrebbe portato alla soddisfazione dei loro veri bisogni. Nell'idea di Gramsci, per poter arrivare alla rivoluzione comunista era prima necessario combattere una "guerra di posizione" per sostituire l'egemonia culturale della borghesia con quella degli elementi anticapitalisti.
L'analisi gramsciana dell'egemonia culturale è stata introdotta in termini di classi (in senso marxista), ma può essere applicata in termini più generali: l'idea che le norme culturali prevalenti non debbano essere viste come "naturali" o "inevitabili" ha avuto un'enorme influenza sia nel campo politico che nel campo scientifico.
[17] Ideologia come la interpreta Karl Mannheim. Egli distinse tra un concetto universale ed uno particolare di ideologia. In senso particolare s'intende per essa l'insieme delle contraffazioni della realtà, che un individuo compie più o meno coscientemente. In senso generale s'intende per essa l'intera "visione del mondo" di un gruppo umano, per es. una classe. La prima va analizzata dal punto di vista psicologico, la seconda da quello sociologico. Ideologia e Utopia sono due realtà trascendenti distinte, delle quali solo la seconda è realizzabile. Karl Mannheim, Ideology and Utopia, 1929.
[18] Un sondaggio condotto da Abc News e Washington Post Poll rivela che Bush è più impopolare di qualunque altro presidente. 24/01/2007.
[19] Franco Crespi, Mediazione simbolica e società, 1982.

venerdì 12 gennaio 2007

Perseverare diabolicus est

Technorati Profile

Feed XML offerto da BlogItalia.it

In una scena di Full Metal Jacket un colonnello dei marines redarguiva il soldato Joker sulla natura della missione americana in Vietnam. “Noi siamo qui per aiutare i vietnamiti perché dentro ogni muso giallo c’è uno che sogna di diventare americano. E’ un mondo spietato figliolo. Bisogna tener duro fino a quando passerà questa mania per la pace”[1].
Questa sembra essere anche la visione della storia e della cultura professata da
George W. Bush e dal neoconservatorismo americano da Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson, passando per Ronald W. Reagan.


L’ideologia.
Di fatto l’ideologia neocon travalica lo Statuto delle Nazioni Unite firmato il 26 Giugno 1945 a San Francisco. È un trattato e quindi, secondo le normative di diritto internazionale, è vincolante per tutti gli Stati che lo hanno ratificato.
Lo Statuto all’art. 1 dichiara che l’obiettivo primario dell’ONU è il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Per perseguire tali fini l'Organizzazione è fondata sul principio della sovrana uguaglianza di tutti i suoi Membri. Inoltre i membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici e cosa ancora più importante, le Nazioni Unite non sono autorizzate ad intervenire in questioni che appartengano essenzialmente alla competenza interna di uno Stato.
L’ideologia neocon, al contrario si fonda su una profonda avversione al multilateralismo e guarda con sospetto al ricorso di mezzi pacifici per risolvere le controversie internazionali. L’atteggiamento neoconservatore americano è fortemente occidentalista. Claes Ryn accusa addirittura i neocon di rappresentare una varietà di
neo-giacobinismo poiché essi sono attaccati a principi sopranazionali e anti-storici che dovrebbero soppiantare le particolari tradizioni di ogni società […] i neocon vedono se stessi come coloro che stanno dalla parte del giusto, del bene, che combattono il male.
Il neoconservatorismo vuole difendere la nazione americana da ogni minaccia esterna, in modo diretto e privilegiando l’azione netta e decisa. Inoltre non ha remore nell’utilizzare strumenti di prevenzione a tal fine[2]. I neocon avversano l’arrendevolezza europea nei confronti dell’ascesa di Hitler e le concessioni della Conferenza di Monaco del 1938. Essi propugnano una
pax americana in cui gli Stati Uniti si ergano a Stato-Gendarme al di fuori del diritto internazionale poiché essa rappresenta l’unica nazione ad aver raggiunto la Verità, la Democrazia e l’Uguaglianza. Tutto sommato questi sono discorsi non molto diversi da quelli del Mein Kampf di hitleriana memoria. Allora, per dirla alla Slavoj Zizek: Chi impiccherà George W. Bush?, visto che, alla pari di Saddam è intenzionato a rovesciare il governo di Teheran[3].
È curioso annotare le accuse parallele di nazismo da parte dei neo-con nei confronti dell’Islam e di questa nei confronti di George W. Bush. E d’altronde la retorica neo-con è piena di affermazioni e allusioni tetramente ariane e vagamente razziste, distinguendo ad esempio tra “vite americane” da tutelare e “vite altrui” che si possono sacrificare per il benessere della “nazione eletta”.
Sia l’ideologia islamica sia quella americana si reggono su vecchie teorie rimaneggiate a proprio uso e consumo. L’Islam interpreta il Corano e infonde alle masse un forte risentimento grazie ad una facile retorica anti-imperialistica. I neoconservatori americani attualmente al potere si credono la “nazione eletta” prima schierata contro il nazi-fascismo, poi contro il comunismo ed ora contro l’islamofascismo. Ma c’è di più. I neocon sono rimasti alla visione dell’ordine mondiale del 1939. Prima dell’ONU, prima dello sviluppo economico e politico europeo, prima dell’ascesa dei paesi BRIC. Prima dell’impianto di Israele in Medio-Oriente. Insomma, si è rimasti su una concezione incentrata sulla
realpolitik e sulla convinzione che gli Stati Uniti debbano portare “il fardello dell’uomo bianco”. I neocon si rifanno alla teoria della Rivoluzione permanente di Lev Trovsky. Il concetto di rivoluzione permanente è basato sulla sua valutazione che nei Paesi arretrati il compimento della rivoluzione democratico-borghese non possa essere realizzato dalla borghesia stessa ma che dovesse essere guidata dal proletariato, che non solo avrebbe dovuto compiere la rivoluzione democratico-borghese, ma avrebbe dovuto proseguire direttamente alla rivoluzione socialista. In questo senso la rivoluzione sarebbe stata permanente o ininterrotta. I neo-con vorrebbero esportare democrazia e libertà allo stesso modo. Attraverso una guerra permanente ed ininterrotta, presentandosi come avanguardia democratica su stati meno “fortunati”[4].

La psicologia.
Secondo
Ezio Bonsignore, Bush sarebbe affetto da quella che i Tedeschi chiamano “Führerbunkersyndrome”[5], la sindrome del bunker del Führer. Essa si manifesta quando”un capo politico-militare isolato nel suo centro di comando perde progressivamente il contatto con la realtà e si rifiuta di riconoscere che una guerra di aggressione, che egli stesso ha scatenato senza alcuna reale necessità, è ormai persa malamente ed è persa soprattutto a causa delle sue stesse decisioni. Il capo rigetta quindi questa realtà che non gli piace e si rifugia sempre più in un suo mondo irreale, continuando a formulare strategie sempre più campate in aria e a emettere ordini sempre più insensati, ma che secondo lui dovrebbero inevitabilmente portare all'immancabile vittoria finale”.

La teoria dei sistemi.
La nuova offensiva verso Mogadiscio è davvero un elemento nuovo nella strategia politica americana? I politologi erano certi di questo imminente intervento, e ci si aspetta anche un attacco su Siria ed Iran.
Una legge dell’entropia applicata alla comunicazione ci informa che : quanto più un segno è improbabile, tanto più il comparire di questo segno ha carattere informativo.
Per cui la vera novità è nel gesto, nel non detto. L’Amministrazione Bush vuole rigettare in toto i risultati della commissione congiunta Baker-Hamilton e intraprendere un’azione retorica persuasiva nei confronti dell’opinione pubblica americana, facilmente suggestionabile, e le opinioni pubbliche medio-orientali in modo da far rovesciare quei regimi. C’è di nuovo che le recenti nazionalizzazioni delle compagnie petrolifere venezuelane e la consistente sterzata socialista di tutta l’America Latina e Meridionale, di fatto, impongono al sistema americano di ricercare altre risorse per sostenere l'altamente dissipante sistema su cui si basa.
Ma la termodinamica ci indica anche che i sistemi complessi come le organizzazioni statali si reggono su equilibri peculiari alla “storicità” del sistema dato. Eventuali ripercussioni esterne non farebbero altro che destabilizzarli. Il sistema a questo punto fluttua alla ricerca di altri equilibri consoni alla sua struttura e alle sue risorse specifiche. Bush pensa di abbattere un albero impiantandone un altro ex novo, mentre in realtà l’Iraq è un albero reciso alla base che ha bisogno di sostegno e cure per ricrescere forte.

La retorica.
Indubbiamente l’impiccagione di Saddam Hussein con sentenza di un tribunale internazionale,
l’invio di altri 21.500 soldati e le minacce a Iran e Siria rappresentano dei fatti mediatici di indubbio interesse. Essi partecipano alla retorica neocon della “dottrina della prevenzione” e servono a rafforzare l’idea di superiorità e coerenza dell’azione strategica e militare americana. Il tutto al fine di continuare a far pervenire i capitali internazionali, per metter mano sui giacimenti di idrocarburi e per alimentare l’industria bellica e, di conseguenza, l’economia “pesante” interna.
La retorica ci insegna che la forma del discorso, al di là dei suoi contenuti, ci pone in condizione di sudditanza all’interno del discorso subìto. La forma del discorso è, infatti, paragonabile alla lenza in cima alla quale le parole stanno come l’esca sull’amo, mediante il quale il pescatore prende i pesci senza muoversi. Non siamo in presenza di funzione persuasiva della lingua, ma di un uso simbolico del discorso secondo un procedimento di causa-effetto: il “mostrare i muscoli” è sì un enunciato, ma non è solo un enunciato, perché è al contempo un’azione[6]. L’azione sta nel fatto che gli USA mettono in bocca ai loro interlocutori ciò che devono dire e, di conseguenza, fare. In altre parole, anticipano la risposta, dando per scontato che sia l’interlocutore a far parlare il messaggio mediatico e non gli stessi americani autori dell’enunciato. L’offensiva bellica della sovranità di parlatore della controparte per farlo rientrare nel gregge, produce un’azione offensiva a-testuale. Tale offensiva, infatti, non lascia aperta l’eventualità di una risposta testuale, portando ad un’escalation di discorsi persuasivi improntati sulla metafora bellica[7].
Da pochi giorni gli Stati Uniti sono intervenuti direttamente in Somalia. Hanno massacrato decine di civili spacciandoli per terroristi. Quei morti sono stati necessari, propedeutici e funzionali all'annuncio dell'escalation in Iraq: "Se siamo costretti ad intervenire in uno scenario apparentemente marginale come quello del Corno d'Africa, tanto meno possiamo lasciare campo libero in Iraq". Quello in Somalia è un intervento illegittimo, unilaterale, soprattutto imprudente, ma che serve a dimostrare, agli spettatori di Rete4 e Fox-TV, che dietro la maschera della minaccia terrorista si debba accettare tutto[8].


La politica interna.
Alan Friedman pensa che l’amministrazione Bush voglia scaricare su una possibile opposizione democratica nel congresso , la mancata vittoria in Iraq. Il tutto per rilanciare il candidato repubblicano, che probabilmente sarà John McCain, il quale andrà a sfidare Barack Obama oppure Hilary Rodham Clinton alle presidenziali del 2008[9].
Di certo esacerbare il bagno di sangue ed i conflitti regionali per una faccenda di candidabilità repubblicana, non sembra un elogio alla virtù morale.

La storia.
Gli Stati Uniti hanno già impiantato una democrazia ex-novo in un paese molto difficile ma in modo relativamente indolore. In Giappone una nazione allo stremo accettò la pax americana impartita dal generale
Douglas MacArthur, per mezzo di una costituzione ottriata, ossia calata dall’alto unilateralmente, e il rifiuto della guerra anche come mezzo di difesa.
In
Iraq però non sembra possibile. Il 26 luglio 1945, i leader degli alleati Winston Churchill, Harry S. Truman e Joseph Stalin chiesero, nella dichiarazione di Postdam, la resa incondizionata del Giappone. Il documento affermava che "Le forze di occupazione degli alleati si ritireranno dal Giappone non appena questi obiettivi saranno stati portati a compimento e non appena si sarà stabilito un governo responsabile e incline alla pace secondo la volontà liberamente espressa del popolo giapponese". Gli alleati non cercavano semplicemente il punimento o il risarcimento dei danni di guerra, quanto piuttosto dei cambiamenti fondamentali nella natura del sistema politico. Come disse lo scienziato politico Robert E. Ward: "L'occupazione fu forse l'operazione più esaustivamente pianificata di cambiamento politico massiccio diretto dall'esterno nella storia del mondo". Per ottenere le stesse condizioni anche in Iraq si dovrebbe sganciare una bomba atomica di media potenza su una città secondaria. Ma farlo significherebbe la rottura dei rapporti economici e diplomatici con quasi tutti i paesi dell’ONU, e la fine della credibilità e della moralità agli occhi del mondo.

Conclusioni.
Gli Stati Uniti si comportano come quegli anziani contadini chiusi nel loro ranch che sparano a chiunque entri nella loro proprietà. Essi sentono che il loro potere è traballante e quindi, presi da una irrefrenabile iper-attività, compiono atti sconclusionati ed irrazionali per raggiungere i loro obiettivi.
Semplicemente, non tutti vogliono diventare americani.



[1] Stanley Kubrick, Full Metal Jacket, 1987.
[2]
John Locke nel Secondo Trattato del 1689: “il popolo per difendersi deve agire prima che sia troppo tardi e il male sia divenuto incurabile”.
[3] Slavoj Zizek, Chi impiccherà George W. Bush? Da Il Manifesto del 10/01/2007
[4] Lev Trosky, Bilanci e Prospettive, 1905.
[5] Ezio Bonsignore, Iraq, la strategia di Bush e la Führerbunkersyndrome, Pagine di Difesa, 11/01/2007
[6] La
Teoria degli Atti Linguistici è di John Langshaw Austin, How To Do Things With Words, 1962 e John Searle, Speech acts, 1969.
[7] Si veda
Gian Paolo Caprettini, La Scatola Parlante, 1996. Quest’analisi della politica del discorso è stata approfondita da Alfred N. Whitehead, Symbolism, 1958. George N. Gordon, The Language of Communication, 1969. Marshall McLuhan, From Clichè to Archtype, 1970. Murray Edelman, The symbolic uses of politics, 1976. Edelman, nella sua teoria simbolica della politica, definisce come simbolo qualsiasi cosa a patto che produca degli effetti psicologicamente indicati.
[8]
Gennaro Carotenuto, Fermate George Bush, il piccolo Nerone che vuole il suo Vietnam, 11/01/2007.
[9] Dal TG3 dell’ 11/01/2007 delle ore 23.15.

sabato 6 gennaio 2007

Fascismo o richiesta di autonomia?

Feed XML offerto da BlogItalia.it
Una delle ragioni del crollo di una personalità risiede nell’incapacità di assorbire le distinzioni. La mancanza assoluta del senso di sintesi e comprensione dell’altro sono alla base della fanatismo e del manicheismo, così come di altre malattie della mente quali ad esempio le manie di persecuzione[1].

Spesso questa implosione nella propria interiorità produce solipsismo e conseguentemente lo “strumento di espansione”, vale a dire un’organizzazione militare, religiosa, politica o economica che accumula eccedenze e le investe in innovazioni produttive, viene a mancare. Secondo Carroll Quigley, infatti, le civiltà declinano quando cessano di applicare queste “eccedenze” a nuovi modi di fare le cose.

Anthony Robbins, divide il modo di percepire gli eventi da parte delle persone in varie categorie attraverso “meta-programmi[2]. Tra questi vi è la classificazione tra persone “adeguanti” ossia coloro che vedono soprattutto le somiglianze tra concetti, pensieri, idee, forme, fatti, e i “disadeguanti” che scorgono in larga parte le differenze. La ricchezza dell’incontro con il diverso si perde per gli adeguanti che fanno ricorso a schemi referenziali specifici della loro cultura e del loro ambiente. Essi, come i neo-con americani, osservano fatti di sangue che hanno una storia millenaria alle spalle e li interpretano come esempi di fascismo applicato al nuovo millennio, come un’altra dittatura da cancellare. Manca la consapevolezza che gli eventi tendono a ripetersi, ma gli uomini cambiano con l’evoluzione della storia. A episodi simili gli uomini reagiscono in modo diverso anche se magari si giunge a conclusioni paragonabili.

Se prendiamo l’ascesa geopolitica dell’Iran[3] e l’atteggiamento spregiudicato del suo leader, Mahmoud Ahmadinejad, di certo possiamo trovare analogie con i primi anni di Adolf Hitler. L’arrendevolezza dell’Europa tende a farci pensare alla politica remissiva dei vari Chamberlain e Daladier. Ma per il resto tutto cambia. Ahmadinejad non è un dittatore ma è stato eletto con voto democratico. Non professa nessuna ideologia ma inneggia alla sua religione. Rivendica un posto sul palcoscenico del nucleare, come Israele. Hitler era a capo di una nazione mentre il mondo islamico conta un miliardo di persone con un gran numero di nazioni sparse su tutto il globo. Molte nazioni hanno regimi autoritari ma altri hanno accettato la democrazia e sono moderati. Insomma si tratta di un’altra analogia stonata nonostante credo che sia giusto non tollerare certe dichiarazioni[4] e alcune manifestazioni come l’incontro internazionale negazionista dell’11 e 12 Dicembre 2006.

Paul Berman è l'intellettuale di sinistra che ha spiegato ai suoi compagni che la guerra al terrorismo arabo-musulmano è l'ultima tappa delle due guerre contro i totalitarismi che l'Occidente ha combattuto nel secolo scorso, quella contro il nazifascismo e quella contro il comunismo. Stiamo vivendo un periodo rivoluzionario ­ dice Berman. In 19 mesi due feroci dittature sono cadute e una terza, la più importante, è in crisi. L'effetto domino funziona, il totalitarismo musulmano ha subito sconfitte devastanti. In così poco tempo due, quasi tre, paesi di fila sono stati liberati. E poi c'è lo scontro all'interno dell'Autorità palestinese. Non sappiamo come andrà a finire, ma in Afghanistan c'è uno Stato che pur limitandosi alla città di Kabul è in mano a un liberale come Hamid Karzai. In Iraq non c'è ancora uno Stato ma per la prima volta c'è speranza, e in Iran siamo al primo stadio di una rivoluzione liberale". Berman davvero non si spiega come gli italiani e i tedeschi possano pensare che la democrazia non debba essere importata. Tanto più, dice, che l'oscurantismo islamico, quel mix nazi-comunista che ha governato il Medio Oriente in questi 50 anni, è esso stesso un'importazione: "Il vero pericolo non è solo al Qaida, ma il culto della morte e del suicidio come atto di ribellione alla società borghese. E' un'idea nata in Occidente, scritta nelle poesie di Baudelaire e nei libri di Dostoevskij, e diventata poi movimento di massa, con il fascismo, il franchismo, il nazismo e il comunismo. In Occidente è stata sconfitta, ma è stata esportata nel mondo islamico e li si è sviluppata"[5].

Ma vi sono davvero delle analogie tra la presunta rivoluzione nazi-comunista islamica e la la rivoluzione mondiale paventata all’inizio del XX secolo?

Eric J. Hobsbawn sostenne che la Rivoluzione d’Ottobre era figlia del malessere della società di quel tempo che cercava un’alternativa. “Sembrava che bastasse soltanto un segnale perché il popolo si sollevasse, sostituisse il capitalismo con il socialismo e trasformasse così le sofferenze insensate della Guerra Mondiale in qualcosa di positivo: le sanguinose doglie e le convulsioni che accompagnavano la nascita di un mondo nuovo. La Rivoluzione russa o, più precisamente, la rivoluzione bolscevica dell’Ottobre 1917, intendeva dare al mondo questo segnale”[6]. Secondo Hobsbawn “la politica internazionale di tutto il Secolo Breve dopo la Rivoluzione d’Ottobre può essere compresa nel modo migliore se la si interpreta come una battaglia secolare condotta dalle forze del vecchio ordine contro la rivoluzione sociale, ritenuta un processo legato alle fortune dell’Unione Sovietica e del comunismo internazionale”.

Sarebbe lecito supporre quindi che il segnale di questa nuova rivoluzione islamica sia stato l’attacco terroristico dell’11 Settembre 2001. La nascita di
Al Qaeda e l’ascesa di Ahmadinejad sono i corollari mentre il malessere delle società medio-orientali nasce dai secoli di sottomissione imperialista delle potenze occidentali, dalla riconfigurazione artificiosa dei confini e l’instaurazione di governi-fantoccio. Il boom demografico ed il potere derivante dal petrolio rende ancora più calda la situazione[7].

Ma c’è di più. Per Berman quella in corso è una rivoluzione mondiale di stampo fascista[8]. Egli considera il culto della morte come elemento imprescindibile alla base di ogni terrorismo e analizza (nello specifico dell’Islam) la radicalizzazione dell’odio nei confronti dell’occidente e la sua mutazione nella storia. Berman spiega come sia insito nel terrorismo islamico l’odio e l’anelito distruttivo per le conquiste liberali dell’occidente: la libertà d’espressione, di pensiero, le conquiste tecniche, le sperimentazioni e così via. Ma c’è dell’altro: alla base di tutto infatti, ancor prima dell’odio per i nostri valori liberali, ci sta il mito primordiale (presente per la nostra cultura cristiana ne l’Apocalisse di Giovanni) “che da una parte vede un popolo probo e giusto, dall’altra una cospirazione cosmica di nemici stranieri e forze interne inquinanti che lo opprime, imponendogli di scatenare una guerra di sterminio: una titanica lotta mitologica di liberazione”. Secondo Berman questo mito era alla base dei totalitarismi novecenteschi ed ora dell’Islam: “Condividono un’utopia: il ritorno all’età dell’oro del passato, rielaborata in versione ‘futurista’.
Mussolini e Hitler desideravano ricreare l’apoteosi dell’impero romano. Franco mirava a riesumare l’era delle crociate cattoliche del Medio Evo con il suo movimento di guerrieri di Cristo Re. Lo scopo dei jihadisti islamici è restaurare l’età dell’oro del califfato del Settimo secolo”. L’autore elenca sei motivi a suffragio della sua teoria
[9]:
-Siccome
George W. Bush è un uomo politico con un effetto respingente fuori dal comune, e il senso di repulsione nei suoi confronti ha accecato molta gente in America e nel resto del mondo, impedendo di vedere realtà politiche e sociali. Questo è un esempio moderno, tipico dell’era televisiva, di ciò che un tempo si chiamava “falsa coscienza”.
- Molta gente di sinistra ha deciso a priori che tutti i problemi del mondo derivano dall’America. E con questo atteggiamento avrebbe giustificato anche Mussolini, sessanta o settant’anni fa.
- Molta gente di sinistra presume che qualsiasi movimento anticoloniale vada ammirato o, quanto meno, accettato, anche un movimento come il
partito Baath, fondato nel 1943 sotto influenza nazista.
- Molta gente di sinistra, nello sforzo benevolo di rispettare le differenze culturali, ha deciso che agli arabi debba piacere vivere sotto le dittature e che non siano capaci di nient’altro, mentre in questa visione gli arabi liberali e democratici non sono da considerare arabi autentici. Vale a dire che molta gente di sinistra, invocando il principio della tolleranza culturale, si aggrappa ad atteggiamenti che potrebbero benissimo essere considerati razzisti nei confronti degli arabi. Sulla base di una logica analoga, molta gente di sinistra si è convinta che i curdi e altri gruppi etnici non arabi del Medio Oriente non esistano.
- Molta gente di sinistra crede sinceramente che i problemi fra Israele e i palestinesi non derivino soltanto da una controversia concreta ed esasperata sui confini e il riconoscimento ma da qualcosa di più enorme, da un aspetto straordinariamente diabolico del
sionismo, che spiega quindi la rabbia e l’umiliazione dei musulmani, dal Marocco all’Indonesia. Vale a dire che molta gente di sinistra ha finito per soccombere alle fantasie antisemite sul carattere cosmico del crimine ebraico, e questa le sembra una spiegazione adeguata delle crisi sociali e politiche che prevalgono in vaste aree del globo.
- Molta gente di sinistra non riesce a vedere l’antisemitismo in altre culture, e non può quindi riconoscere a che livello dottrine di tipo nazista sul carattere cosmico del male ebraico abbiano contagiato movimenti politici di massa in larghe fasce del pianeta. E cieca di fronte al ruolo che svolge oggi l’antisemitismo in numerosi Paesi, molta gente di sinistra non riesce ad avvertire la natura fascista di una molteplicità di movimenti di massa e di partiti politici in tutto il mondo, in particolare del partito Baath in Iraq e in Siria.

Ma è possibile un’ideologia totalitarista laddove vige un regime democratico e le università sono un perno istituzionale? In Iran ciò non sembra possibile, a meno che l’attuale leader riesca a riscrivere le regole del gioco appoggiato dai capi religiosi. Le contestazioni al presidente iraniano in seguito alla conferenza negazionista di Dicembre sembra mostrare il lato moderato delle società islamiche.
Evidentemente la iniqua distribuzione dei redditi e la disparità del livello di istruzione può incidere su una visione manichea del mondo ed incitare al vittimismo. I leader religiosi a caccia di consenso hanno gioco facile nel mobilitare le masse mentre anni di guerre nella regione riescono a conferire ardore a quei popoli che devono ancora cercare un’identità.

Daniel Pipes cavalca l’onda di Berman e sostiene che per porre fine al terrorismo islamico occorre isolare le motivazioni in base alle quali il terrorismo stesso risulta essere un tratto che contraddistingue la vita musulmana. Le idee non trovano posto nella criminalità comune, che consegue dei fini puramente egoistici. Ma le idee, specie quelli inerenti un cambiamento radicale del mondo, sono fondamentali in seno al terrorismo, specie a quello suicida. A differenza di tutti gli altri, che in genere accettano la vita così com'è, gli utopisti si ostinano a volere creare un ordine nuovo e migliore. Per conseguire questo obiettivo, costoro pretendono di detenere tutti i poteri per se stessi, ostentano un agghiacciante disprezzo per la vita umana e nutrono l'ambizione di diffondere la loro visione in tutto il mondo. Esistono diversi sistemi utopistici, il fascismo e il comunismo sono quelli più importanti dal punto di vista storico, ed ognuno di essi ha causato decine di milioni di vittime. Il “terzo totalitarismo”, nato a partire dagli anni Venti, qual è l'islamismo, brevemente definito come la convinzione che "l'Islam rappresenta la soluzione" ad ogni problema sia che si tratti dell'educazione dei bambini che del fare guerra. A causa di diversi fattori, una storica rivalità con ebrei e cristiani, un dinamico tasso di natalità, la cattura dello Stato iraniano nel 1979, l'appoggio da parte dei paesi ricchi di petrolio, gli islamisti sono arrivati a dominare il discorso ideologico dei musulmani interessati alla loro identità o alla fede islamica”.

Ciò che davvero preoccupa, a mio avviso, è la ricaduta che può avere l’equazione terrorismo islamico=fascismo sugli attori e la masse della dialettica politica. Chi oggi infatti parlerebbe di “scontro di civiltà” se
Samuel P. Huntington[10] non avesse elaborato un testo sicuramente di parte ma che ha acquisito una valenza universale ed è entrata nei discorsi di chiunque voglia dibattere sull’argomento. Le teorie nascono dalla società ma hanno l’enorme potere di retro-agire su di esse ed influenzarne il corso, come un catalizzatore di eventi. Sentendosi etichettare come fascisti, i leader islamici si sentiranno giustificati e porteranno avanti le loro pretese sentendosi umiliati dalla incapacità dei “sentenziatori” di analizzare e vivere empaticamente l’atmosfera e gli umori di quei popoli, anziché biasimarli o peggio bombardarli.
Ma l’autoritarismo della “nazione islamica” è confrontabile con gli autoritarismi del passato o è qualcosa di diverso, suscettibile di ulteriori classificazioni per mezzo di nuovi strumenti concettuali?
L’autoritarismo è caratterizzato da[11]:
Pluralismo limitato. Nei regimi autoritari permane una certa dose di pluralismo politico, assai diverso da quello democratico: sono infatti attori che in qualche modo sono tollerati dal regime ma che comunque non hanno una legittimazione popolare. Nell'esperienza italiana del fascismo la monarchia e la chiesa andavano a formare proprio questo pluralismo limitato.
- Nel mondo islamico esistono stati con un diverso livello di democrazia. I leader religiosi sono legittimati senza mediazioni istituzionali dal popolo

Mentalità caratteristiche. Con mentalità caratteristiche intendiamo delle idee che legittimano il regime. Non si può parlare però di vere e proprie ideologie, in quanto il loro campo d'azione è in genere molto più limitato delle ideologie totalitarie. Generalmente si tratta di principi più o meno generali, come quello di ordine e sicurezza.
- Nel mondo islamico le idee che legittimano la “nazione” sono scritte sul Corano. Questo è oggetto di infinite interpretazioni. A livello dei singoli stati l’ideologia coranica non sempre avalla il regime al potere, soprattutto se democratico (Pakistan, Iran)

Assenza di mobilitazione politica. Il potere centrale non cerca la mobilitazione e la partecipazione di masse nella vita di regime. Questo indicatore però non è valido per tutti i regimi autoritari: i regimi autoritari di mobilitazione, come il fascismo italiano, rappresentano in questo senso un'eccezione.
- I leader islamici cercano invece a tutti i costi la mobilitazione delle masse a livello sovra-statale[12].
Leader o piccolo gruppo che esercita il potere. Il potere è esercitato in poche mani, oppure tutto nella figura di un leader.
- Nel mondo islamico vi è una pretora di attori che esercitano un potere variabile e spesso, come Osama Bin Laden sono svincolati da una connotazione statale venendo a formare una sorta di “multinazionale della rivoluzione”
Potere esercitato entro limiti formalmente mal definiti ma prevedibili. Essenzialmente siamo in assenza dello stato di diritto, con limiti mal definiti intendiamo infatti un'alta discrezionalità delle élite al potere. Tuttavia il cittadino riesce a percepire quali comportamenti saranno passibili di sanzione, ciò distingue un regime autoritario da uno totalitario, in quest'ultimo caso manca persino l'aspetto della prevedibilità.
- Anche in questo caso nel mondo islamico vi è un’ampia casistica di stati di diritto e stati retti dalla shari’a. La prevedibilità della sanzione è certa.
La diffusione sovra-statale della Jihad porta quindi all’impossibilità di individuare un nemico isolabile da parte dell’Occidente. I poteri visibili come quelli dei leader degli stati e questi ormai dispongono di un discreto livello di sviluppo economico, ingenti capitali ed armi di ricatto (come la minaccia di costruire una bomba atomica).
E’ probabile che il richiamo ai valori forti e totalitari siano sorti come reazione alla minaccia occidentale. Dalle crociate all’imperialismo ottocentesco, dalla creazione ex-novo di uno stato sovrano ebraico in pieno Islam all’occupazione dell’Iraq.
Come per i precedenti totalitarismi (sovietico e nazista) viene avanzata una esigenza di concretezza contro le astrazioni illuministiche e democratiche, intendendosi per concretezza, poniamo l’amore per la propria terra e per i propri connazionali, l’attaccamento a certe usanze, il senso dell’onore, il sentirsi completati e rafforzati da tutto ciò che è connesso con la propria origine, come la famiglia, il luogo natio, la religione avita. L’autentica verità è creata dall’azione politica. In questo senso l’ideologia, il discorso politico diventa mito, ossia favola capace di produrre effetti pratici e desiderabili. Da ciò discerne un comune negazione della ragione autonoma come strumento di controllo sulla plausibilità o meno dell’azione politica e dei suoi fini. Prende forma una vera e propria esperienza di regressione, il furore della mani sporche, di ciò che è ancestrale, della comunità[13]
.

La rivoluzione islamica, se mai sia in atto, non è di certo autoritaria o lo è in determinati luoghi. Essa è però totalitaria pur non avendo èlite di potere univoche e identificabili, bensì oligarchie mobili che portano avanti una guerriglia permanente senza schieramenti frontali per via dell’asimmetria delle risorse tra Occidente e Islam. E’ lecito pensare che il ripiegare delle attenzioni occidentali sulla regione e degli interessi sugli idrocarburi determinerebbe un’implosione socio-politica su ambienti che si reggono proprio grazie al risentimento anti-imperialista occidentale.
Con il laissez-faire il Medio Oriente potrebbe riappacificarsi e reggersi su nuove infrastrutture ideologiche ed istituzionali.




[1]
Umberto Eco a tal proposito scrive un illuminante articolo in cui si esorta l’amministrazione Bush a documentarsi con studi di antropologia culturale prima di intraprendere campagne belliche contro popoli sconosciuti , Documentarsi, prima, L’Espresso, Aprile 2003. In un altro scritto il filosofo è stupito del fatto che George W. Bush non sapesse che “le dittature producono consenso e su quel consenso si reggono” e che “se si verifica uno scontro frontale con un nemico straniero, scattano forme di identificazione con il proprio Paese” (non con il proprio dittatore). Per fare la guerra occorre cultura, L’Espresso, Aprile 2003.
[2]
I meta-programmi, secondo Robbins, sono le chiavi delle modalità con cui un individuo elabora le informazioni, moduli interni che lo aiutano a formare le sue interne rappresentazioni e a scegliere il proprio comportamento. I meta-programmi sono insomma i programmi interni di cui ci serviamo per decidere a che cosa fare attenzione. Deformiamo, cancelliamo e generalizziamo informazioni perché la mente conscia è in grado di prestare attenzione solo ad un certo numero di informazioni in un dato momento. I meta-programmi sono relativi a:
· Accostamento/allontanamento
· Schemi referenziali interni/schemi referenziali esterni
· Scelte fatte a nome proprio/scelte fatte a pro di altri
· Adeguanti/disadeguanti
· Metodo di persuasione
· Possibilità/necessità
· Stile di lavoro
Anhony Robbins, Unlimited Power, 1986.
[3]
Muhammad Abu Rumman,
Perché l’Iran è diventato una potenza regionale. 05 Novembre, 2006
[4]
“Israele presto scomparirà”, 12 Dicembre 2006 . L'Iran «rivedrà le sue relazioni» con alcuni Paesi europei se questi «insisteranno a porre ostacoli» al programma nucleare di Teheran, 05 Dicembre 2006. “L'Occidente deve rassegnarsi a vivere con un Iran nuclearizzato”, 24 Dicembre 2006.
[5]
Cari compagni di sinistra, in corso c'è una rivoluzione e non ve ne siete accorti, da Il Foglio del 03 Luglio, 2003.
[6]
Eric J. Hobsbawn, Il Secolo Breve, 1994.
[7]
Le idee offerte da pensatori e organizzatori come
Muhammad ibn Abd al-Wahhab, Shah Waliullah, Sayyid Abu'l al-Mawdudi, Hasan al-Banna, Sayyid Qutb e Rouhollah Khomeini hanno dato inizio con successo a un'offensiva contro gli approcci all'Islam tradizionali, modernisti e centristi.
[8]
Paul Berman, Terrore e Liberalismo, 2004
[9]
Paul Barman, Amici liberal, accecati dal disprezzo per Bush non avete capito che è una guerra antifascista, Corriere della Sera del 14 Ottobre 2003.
[10]
Samuel P. Huntington, Lo scontro di civiltà, 1993
[11]
Si veda
Gianfranco Pasquino, Corso di Scienza Politica, 1997.
[12] Come dimostra il recente appello di
Ayman al Zawahiri al mondo islamico di portare la jihad in Africa. 06/01/2007.
[13] Francesco Valentini, Il Pensiero politico contemporaneo, 1999.

mercoledì 3 gennaio 2007

Il ritorno dell’immagine

Technorati Profile

Feed XML offerto da BlogItalia.it


Gianni Vattimo, il noto filosofo, ritiene che l’uccisione di Saddam sia un atto da ricondurre al vecchio imperialismo. Sia governo che tribunale sono stati impiantati da una potenza imperialistica esterna: gli USA[1].


Tariq Ali è ancor più crudo sostenendo la significatività di un 2006 finito con un'impiccagione coloniale, mostrata quasi interamente (salvo gli ultimi istanti) dalla televisione di stato dell’Iraq occupato. Secondo Ali la manipolazione del processo era così evidente che persino Human Rights Watch, la più grande organizzazione americana dell’industria dei diritti umani, ha dovuto condannarlo come una farsa completa. Su ordine di Washington sono stati sostituiti i giudici, gli avvocati difensori sono stati uccisi e l’intero procedimento ricordava un linciaggio ben orchestrato […] I doppi binari applicati dall’Occidente non cessano mai di stupire. L’indonesiano Suharto, che governava su una montagna di cadaveri (almeno un milione, se accettiamo le stime più basse) è stato protetto da Washington. Lui non ha mai dato noia come Saddam. E che dire di coloro che hanno creato il caos nell’Iraq di oggi? I torturatori di Abu Ghraib, gli spietati macellai di Fallujah, i fautori della pulizia etnica a Baghdad, il direttore del carcere curdo che si vantava di avere come modello Guantanamo.
Nabil El Fattah, uno dei più importanti analisti arabi dell'islam radicale afferma che "l´uccisione di Saddam Hussein segna l´inizio della fine di uno Stato iracheno unitario. L'impiccagione dell'ex raìs apre la strada non solo a una nuova ondata di violenze ma alla divisione etnica dello Stato. L'impiccagione di Saddam segna un punto di non ritorno nello scontro tra sciiti e sunniti. E forse non solo in Iraq. [...] non vi è dubbio che l´eliminazione di Saddam Hussein è un punto a favore dell'Iran e uno schiaffo all'Arabia Saudita. Riyad potrebbe reagire sostenendo, con denaro e armi, la resistenza sunnita irachena. Di certo, l´esecuzione di Saddam contribuirà a moltiplicare la violenza in Medio Oriente e a destabilizzare ulteriormente questa tormentata regione.

Bush e Blair saranno mai processati per crimini di guerra? C’è da dubitarne[2].

Quando in Piazzale Loreto molti italiani infierirono sul corpo già senza vita di Mussolini, la situazione era ben diversa
[3]. Innanzitutto non si era ancora insediato un governo legittimo e l’Italia era ancora in guerra. Non vi fu un processo intentato dalle nazioni vincitrici come accadde più in là con il Processo di Norimberga per i gerarchi nazisti.
La Storia viene scritta dai vincitori. Cosa sarebbe successo se la Germania non avesse attaccato la Russia e avesse consolidato i suoi confini prima della debàcle? Probabilmente i regimi nazi-fascisti si sarebbero normalizzati e sarebbe nata una democrazia “putiniana”. Se Mussolini avesse vinto tutti lo avrebbero applaudito perché, come ha ribadito Renzo De Felice, l’Italia aveva accettato il Regime così come lo hanno avallato sia i potentati economici (la Fiat in primis) che la Corona. Anche nella Germania nazista, secondo Goetz Aly (Hitler's beneficiariers, 2007) si è verificato lo stesso meccanismo di acquiescenza al regime da parte del popolo, dei banchieri e degli industriali in cambio di benefici materiali.


In Iraq Saddam riscuoteva un forte credito e la gente lo aveva accettato seppur passivamente. I panni sporchi si lavano in casa. George W. Bush ha deciso di intervenire utilizzando la formula retorica delle “armi di distruzione di massa” mai rinvenute, e per combattere il terrorismo. In realtà il terrorismo rivendicativo è aumentato ed è nata una nuova potenza regionale, l’Iran, in grado di destabilizzare l’intera area in funzione anti-americana (ma non anti-occidentale vista la decisione di Ahmadinejad di usare l’Euro come moneta dei pagamenti internazionali). Inoltre ha creato un nuovo martire, tanto è vero che la tomba di Saddam ad Awja è già meta di pellegrinaggio per i suoi fedelissimi e per gli iniziati alla jihad.

Neil F. Johnson, fisico dei sistemi complessi della Oxford University sostiene nel suo studio che la guerriglia è invincibile[4]. E lo è ancor di più una guerriglia fondata sulla fede e sul revanchismo anti-imperialista fomentato dagli imam, aggiungo. L’America conosceva bene la guerriglia. Il Vietnam, così come l’Afghanistan per i sovietici sono stati dei completi fallimenti dimostrando che la superiorità economica ed organizzativa non riesce a battere la forza della coesione e dei sentimenti.

Persino il neo-con Daniel Pipes ritiene che le conseguenze dell’esecuzione del raìs potrebbero essere gravissime, confermando però che la condanna a morte è moralmente e emotivamente da approvare, un debito da saldare con le sue decine di migliaia di vittime. Pipes è preoccupato però dall’inadeguatezza del tribunale poiché i crimini contro l’umanità sono difficile da giudicare e la procedura è stata affrettata e incompleta. Poi sul piano pratico c’è il pericolo che per gli insorti Saddam Hussein diventi un martire, e il conflitto fratricida tra sunniti e sciiti s’ingigantisca e renda ingovernabile l’Iraq
[5].

Una situazione di risentimento anti-occidentale si riscontra addirittura nel giardinetto sotto casa degli americani. In Sud America e in America Latina, con l’ascesa di Morales, Chavez, Kirchner, Lula, Calderon, Bachelet, Ortega e Correa, è nata una forte opposizione contro Washington. Anche questi uomini politici hanno intercettato l’esigenza dei rispettivi popoli di svincolarsi dall’egemonia americana, soprattutto per quanto riguarda gli idrocarburi.

Nel discorso di addio alla carica di Segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan ha esternato tutto il suo disappunto per la condotta americana in politica estera. Egli elenca le regole auree delle relazioni internazionali, tra cui «il rispetto per i diritti umani e la legge del diritto». Questi ideali possono essere diffusi in tutto il mondo «solo se l'America resta fedele ai suoi principi anche nella lotta al terrorismo», ha detto Annan che nel discorso allude all'invasione dell'Iraq: quando «la forza militare è usata, il mondo la considererà legittima solo se viene convinto che è per la giusta causa, in accordo con norme largamente accettate». Secondo Annan, «i governi devono essere responsabili delle loro azioni, sull'arena internazionale e non solo sul fronte interno. Ogni stato deve render conto ad altri stati su cui le sue azioni possono avere un impatto decisivo. Per come stanno le cose le nazioni povere e deboli sono tenuti facilmente in riga perché hanno bisogno di aiuti internazionali. Mentre i ricchi e i potenti, le cui azioni hanno l'impatto maggiore sugli altri, possono essere contenuti solo dai loro popoli»
[6].


Il 14/12/2003 si diffondevano le immagini della cattura di un dittatore sporco, impacciato, intimorito, solo. Molti si sono chiesti il motivo per cui non è stato giustiziato subito per mano delle forze occupanti. Evidentemente si voleva evitare un martire attendendo che la acque si fossero calmate. Oppure si ricercava nella forza dell’immagine una uova legittimazione dell’impegno americano in Iraq nei confronti dell’opinione pubblica interna e per mostrare agli avversari la propria superiorità.
Secondo Jean Baudrillard la Neoguerra
[7] è diventata un prodotto mediatico tanto che le guerre di oggi non hanno luogo ma sono soltanto rappresentate televisivamente. Da ciò è lecito indagare sulla carica di significato delle immagini che i media sbattono in prima pagina e sui nostri monitor. Queste immagini riescono infatti a modellare la realtà che li ha prodotti retro-agendo su di essa attraverso la contaminazione delle menti. La memetica studia appunto il passaggio delle idee e dei significati tra la popolazione così come la biologia studia le forme viventi all’interno di determinati contesti ecologici (la semiosfera). Le idee possiedono la capacità di riprodursi e sfruttano l’ambiente a tal scopo. Un’immagine pubblicata non è nient’altro che un sistema, una specie di altoparlante , un apparecchio attraverso cui un’idea (o un concetto o un significato) produce altre idee, copie di se stesse. Nella semiosfera si pone il problema della propagazione conflittuale, concorrenziale di certe unità culturali (i memi) le quali vivono una loro vita tutto sommato indipendente da noi uomini che li ospitiamo e li riproduciamo. La cultura e persino l’autocoscienza non sarebbero altro che un artefatto dell’interazione di memi autonomi, idee capaci di replicarsi e co-evolvere con indifferenza dell’impatto sugli esseri ospitanti[8].
Baudrillard sostiene che nel passaggio dall’analogico al digitale l’immagine faccia ormai parte di un flusso. Nel flusso l’eccezione diventa regola per cui l’unicità delle immagini finisce per sbiadirsi venendo a mancare la differita e la distanza dall'oggetto immortalato. Nel flusso sembra contare soltanto la proliferazione delle immagini ed il calcolo. Da ciò nasce la gigantesca illusione che il pensiero si limiti solo a questo. Il flusso permette il passaggio all’egemonico poiché quest’ultimo non è altro che il riassorbimento di ogni negatività, intesa come rappresentazione fedele della realtà, nelle questioni umane. Poiché, come dice Marshall McLuhan il medium è il messaggio ed il messaggio televisivo è caldo, quest’ultimo trasmette una percezione tattile ed immediata. Non permette più la distanza né il giudizio critico
[9].

Nemmeno le immagini di guerra sfuggono a questa logica. Affinché le immagini siano un’autentica informazione, bisognerebbe che fossero differenti dalla guerra stessa. Ma oggi sono diventate proprio altrettanto virtuali della guerra, e quindi la loro violenza specifica si aggiunge alla violenza specifica della guerra. Le immagini di guerra mostrano sostanzialmente il lato pornografico della guerra.

Ma, per una sorta di ironia oggettiva, le immagini complici del sistema, come quelle della morte di Saddam, possono diventare terroristiche senza saperlo, e possono destabilizzare il sistema. Si arriva ad un punto di congiunzione inestricabile tra la violenza propria dell’immagine e la violenza fatta dall’immagine e crea un effetto-shock di rimando, di reversione, di parodia attraverso cui il sistema va in corto circuito. Chi vuole il potere tramite l’immagine, morirà di ritorno-immagine
[10].

[1] Gianni Vattimo da Radio24, “La zanzara” di Giuseppe Cruciani del 02/01/2007
[2] Tariq Ali, Saddam Hussein. Altro che Norimberga. Un processo coloniale , Il Manifesto del 31/12/2006. Si veda anche Noam Chomsky, La colonizzazione del Medio Oriente. Le sue origini e il suo profilo, Web Archive Noam Chomsky.
[3] Mussolini fu fucilato insieme alla sua amante Claretta Petacci a Dongo vicino Como, il 28 aprile 1945 dai partigiani che li avevano catturati mentre tentavano di fuggire dall'Italia. Il Prof. Salvadori vede delle analogie tra la l'uccisione di Mussolini e l'impiccagione di Saddam. L´analogia è che la resistenza italiana voleva impedire che Mussolini vivo potesse sopravvivere come punto di riferimento di un mondo neofascista che avrebbe avuto nel duce un referente pericoloso per l´Italia che provava a ricostruirsi sulle macerie della Guerra. Nel caso di Saddam, c´è un potere espressione della maggioranza curdo-sciita e sostenuto sul campo dagli angloamaericani, che haritenuto un Saddam in vita una sorta di "bomba" ad alto potenziale». La differenza sta nel fatto che l´esecuzione dell´ex dittatore è un atto di una guerra civile ad opera della maggioranza curdo-sciita diretto contro i sunniti che sono legati all´eredità politica di Saddam. Massimo Salvadori, Analogie tra Mussolini e il raìs ma contesti diversi, Unità del 03/01/2007.

Paul Berman (l'autore di Terror and Liberalism, 2006) attacca con toni aspri la condanna alla pena di morte per un dittatore fascista da parte del governo italiano affermando che un grande pericolo per le società sviluppate è quello di "provare indignazione per reati minori e restare ciechi davanti a reati maggiori, mentre ci si congratula per la propria superiorità morale. Queste persone credono di avere la «coscienza a posto», ma in realtà si tratta di una «coscienza falsa». Paul Berman, L'Italia e la fine del Raìs, 2007
[4] Neil F. Johson, The Mother (Nature) of All Wars? Modern Wars, Global Terrorism, and Complexity Science, APS Physics, Novembre 2006.
[5] Daniel Pipes, La pena capitale? Giusta. Ma ora serve moderazione, evitiamo di farne un martire, Corriere della Sera del 27/12/2006.
[6] Il Sole 24 Ore dell’11/12/2006, Onu, nel discorso di addio Annan attacca gli Usa.

[7] Alla fine dell’Impero Sovietico cessano le condizioni della Guerra Fredda, ma vengono al pettine i nodi delle guerre del Terzo Mondo mai cessate. Secondo Umberto Eco nella Neoguerra:
· È incerto chi sia il nemico. Tutti gli iracheni? Tutti i serbi? Chi bisogna distruggere?
· La guerra non è frontale a causa della natura stessa del capitalismo multinazionale.
· L’informazione pone il nemico nelle retrovie. Il flusso di informazioni svolge la funzione che nelle guerre tradizionali svolgevano i servizi segreti: neutralizza ogni azione di sorpresa.
L’industria dell’informazione ha imposto le seguenti regole alle neoguerre poiché i media erano obbligati ad introdurre nella logica della guerra un principio di felicità massimale o almeno di sacrificio minimale:
· Non dovrebbe morire nessuno dei nostri
· Si dovrebbero uccidere meno avversari possibile e soprattutto non uccidere i civili
Umberto Eco, A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, 2006.
[8] J.Lotman, La Semiofera, 1984. E.Morin, Le idee: habitat, vita, organizzazione, usi e costumi, 1993. E.O. Wilson. Sociobiologia, 1979. R.Dawkins, Il gene egoista, 1992.
[9] Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, 1967.
[10] Jean Baudrillard, Il digitale e l’egemonico, Internazionale n.674 del 29/12/2006.