domenica 23 settembre 2007

Fiabe e rivoluzioni




Francia del 1789 e Italia del 2007. Quello che la storia può insegnare 218 anni dopo. Pur con tutti i distinguo, l’attuale quadro socio-politico italiano presenta delle analogie con la condizione francese pre-rivoluzionaria.

Innanzitutto c’è la crisi del regime fiscale, percepito dai cittadini come iniquo ed inefficiente. Secondo, l’insofferenza verso una “Casta” improduttiva che ha come unico obiettivo quello di dissanguare le casse dello Stato con spese folli. Tra gli altri fattori della “crisi” vi furono la scarsa partecipazione degli intellettuali nella vita politica, riscontrabile anche nell’odierna Italia. Anche il linguaggio della “vita di palazzo”, oggi come allora presenta forti analogie. Beppe Grillo trova appoggio soprattutto tra gli elettori di sinistra delusi dalla mancanza di coraggio e dalla poca chiarezza del governo. Le contrapposizioni partitiche e l’incapacità di coesistere in virtù del “bene comune” acuiscono la protesta. Come evidenziato da Ricolfi, l’incomprensibilità del linguaggio politico utilizzato e la presunta superiorità morale fomentano insofferenza[1] della sinistra.

L’ingestibile debito pubblico preoccupava sia la Francia di Luigi XVI, sia l’Italia di Prodi. Il debito accumulato in anni di amministrazione scriteriata ha di fatto diminuito le risorse per dare il via ad una politica di spese destinate alla famiglia, tagliando le gambe alla generazione dei più giovani.

Oltretutto l’Italia necessita di una riforma giudiziaria per mettere ordine e garantire la pena a chi infrange la legge. I membri della Casta sembrano porsi “al di là” della Legge, alimentando il malcontento. Tutto come nel 1789.

Il problema della rappresentanza in assemblea creava enormi problemi al Re. Nobiltà e clero erano in sovrannumero rispetto alla grande massa produttiva del Terzo Stato, rendendo vani gli sforzi di riforma ed equità. In Italia la legge elettorale voluta da Berlusconi ha prodotto un governo immobile dominato dal conservatorismo opportunista dalle varie correnti.

La contrapposizione potente tra un Noi, onesto e produttivo, e un Loro disonesto e parassita, è simile a quanto accaduto nel 1789 in Francia, ma ha anche diversi punti in comune con l’epoca di Mani Pulite, ma con le differenze che Panebianco evidenzia[2].

In Francia si ottenne una prima vittoria politica pacifica ma la situazione d’impasse della Casta, più volta a conservare i propri privilegi, creò l’innesco per la deflagrazione della rivoluzione. L’impasse era dovuta al meccanismo di controllo dei voti, il ventre molle della casta, come sostiene Sartori.

Grillo potrebbe controllare in parte il voto, e questo fa veramente paura ai politica [3]


In Italia si otterrebbe una vittoria se i politici “di professione” decurtassero i propri vantaggi e iniziassero una vasta opera di moralizzazione e razionalizzazione delle spese. In questo modo, probabilmente, il sistema dei partiti troverebbe una via di fuga dal collasso. Ma il vero timore è che la oliata e astuta macchina partitica fagociti sul nascere il movimento rivendicativo di Grillo, facendolo rientrare nel rango di fenomeno transeunte. I media possono far molto per distruggere la forza eversiva. Discreditandolo, oppure inglobandolo nel sistema.

Le differenze sono comunque tante. A partire dall’assetto istituzionale profondamente diverso, da una parte una monarchia assoluta e dall’altra una democrazia parlamentare, seppur in una situazione di democrazia “bloccata”.

In Francia era sorta una borghesia capitalistica e delle professioni che pagava ingenti ed ingiuste tasse, e voleva avere voce all’interno dello Stato. Oggi, al contrario, con la liberalizzazione del capitale e l’ingerenza dell’economia nella politica, i capitalisti fanno ormai parte integrante della Casta. Ne sono esclusi, invece, il popolo delle PMI, dei piccoli negozianti e degli autonomi che non possono garantirsi coperture economiche di Stato né protezioni di vario genere. In Italia il Movimento di Grillo è appoggiato perlopiù da giovani borghesi colti, senza colore politico. Il “popolo degli indignati” è quindi pacifico. Mentre la parte che più avrebbe l’interesse di appoggiare una via violenta, i precari ed i nuovi poveri, non ha in realtà la voglia e i mezzi per organizzarsi. Grillo si fa portavoce di questi “esclusi” capitalizza la loro frustrazione. Gli esclusi ne traggono profitto senza impiegare risorse.

Il Movimento di Grillo è allora inquadrabile come avanguardia di un popolo che non ha i mezzi per difendersi. E’ già accaduto che un comico si ponesse al centro della scena politica, sempre in Francia ma nel 1981[4]. Grillo ha in più il volano di Internet, per mezzo del quale può organizzare al meglio i propri aderenti, non invischiandosi nelle paludi dei media generalisti[5].

Le accuse di “anti-politica sono infondate poiché l’intento di Grillo non è quello di annientare il sistema, bensì quello di “ripulirlo” senza entrare in politica[6]. Non è tantomeno un Berlusconi di sinistra perché quest’ultimo non aveva la pretesa di moralizzare l’apparato istituzionale. Anche il qualunquismo, come ha giustamente detto Umberto Eco[7] è molto diverso. Il movimento di Guglielmo Giannini, infatti, rappresentava una reazione allo choc di una vita democratica ancora ignota, mentre questo rappresenta una disaffezione verso una vita democratica a tutti nota e (pareva) accettata.


Come andrà a finire? Tutte le narrazioni hanno una struttura comune. Proviamo ad analizzare la storia di Grillo da un punto di vista testuale. Tutte le narrazioni iniziano da una situazione di equilibrio, rotto da un evento (movente o complicazione). In seguito alle peripezie dell’eroe, sarà ristabilito l’equilibrio[8].

Il peraltro precario equilibrio della vita politica italiana è stato spezzato dalla scarsa crescita del PIL, dalle tasse troppo alte, dalla spesa pubblica inefficacie, dall’enorme precariato e dall’indecisionismo politico. Il libro di Rizzo e Stella[9] ha alimentato la carica d’insofferenza che ha dato la forza a Grillo per farsi portavoce degli “esclusi dalla Casta”. Grillo (l’eroe di questa narrazione) dovrà affrontare diverse sfide per riportare un nuovo ordine.

Nel 1788 in Francia Jacques Necker fu nominato Ministro delle Finanze. Questi rese pubblico il bilancio del Regno. L’opinione pubblica rimase scandalizzata nell’apprendere che la corte spendeva 36 milioni in feste e pensioni per i cortigiani. Durante la campagna elettorale, nei Cahiers de Dolèances (quaderni delle rimostranze) venne stilato un elenco dei soprusi a cui era sottoposto ancora il Terzo Stato. Rizzo e Stella, ma anche Saviano, Crozza e Travaglio conducono lo stesso tipo di operazione in Italia. Il Re è (quasi) nudo.

Gli elementi della fiaba ci sono tutti [10]. In primo luogo i personaggi. Il Protagonista, Grillo, è vessato da un Oppositore, la Casta. Il Mandante non è il popolo, come Grillo si auspica e gli oppositori deprecano, ma il suo ego e la voglia di protagonismo. Il Mentore è rappresentato dal suo blog e dalla mancata presenza in TV durata molti anni, che gli conferisce quel tocco di uomo anti-sistema. L’Aiutante non potrà che essere il popolo indignato e altri intellettuali che finalmente prenderanno coraggio e sfideranno i poteri forti.

Anche le strutture fisse seguono un andamento tipicamente fiabesco. Il Divieto, infatti, è quello di non entrare in politica per sottrarre voti alla Casta, né fare anti-politica che porterebbe ad esiti infruttuosi per tutti. Ecco che Grillo infrange il divieto “urlando” in piazza contro la Casta. Il Tranello della Casta è quello di far rientrare il discorso mediatico del V-Day nella normale routine. Il famoso quarto d’ora di celebrità. Grillo, a quanto pare, è connivente, in quanto sta cadendo nel tranello dei media. Gli altri passi saranno quelli della Mediazione, in cui il danneggiamento viene reso noto, la Reazione dell’eroe ed in seguito la sua Partenza (politica) con il conseguimento del Mezzo magico: l’approvazione popolare.



[4] Si trattava del comico francese Coluche, candidato alle presidenziali del 1981, poi vinte da Francois Mitterand.

[5] Si veda l’articolo di Salvatore Aloise su Le monde e poi tradotto su Internazionale n.711 con il titolo L’antenato francese del comico genovese.

[6] Anche se diversi opinionisti credono che prima o poi Grillo fondi un partito. I primi vagiti sono rappresentati dalle liste civiche. Eugenio Scalfari, Da Garibaldi a Grillo, 21/09/2007.

[7] Umberto Eco, Qualunquismo e Neo-Qualunquismo, in Espressonline del 14/09/2007.

[10] Si veda lo Schema di Propp su Wikipedia.

sabato 2 giugno 2007

Esiste un "popolo della Sinistra" ?





E’ etico che un governo di centro-sinistra si batta per una riduzione o addirittura un annullamento dell’ICI sulla prima casa? A ben vedere il tema dell’ICI fu affrontato dallo stesso Berlusconi nel corso dell’ultimo dibattito elettorale dell’aprile 2006. Ma la questione è un’altra. Il popolo della sinistra sente il bisogno di una legge che favorisca i proprietari di case?

In Francia è accaduto che un uomo di destra, Nicolas Sarkozy, abbia utilizzato le stesse argomentazioni per avvantaggiare il suo elettorato benestante, riuscendo a vincere le elezioni. La Francia ha subito una berlusconizzazione del discorso politico e, più in generale, l’elettorato si è spostato a destra[1].

Una nota teoria politica sostiene che in un regime democratico in cui è possibile l’alternanza,
lo schieramento che esce sconfitto dalle urne, tende ad acquisire un po’ delle issue della controparte.
Mentre Romano Prodi ritiene che la politica ed il mercato seguano ormai due percorsi distinti e paralleli[2], il mercato sembra in realtà aver già sconfitto la politica. Il presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso ha di recente confermato la necessità di una supremazia dell’Europa sui singoli nazionalismi economici, di fatto inibendo i governi a intraprendere azioni autonome[3].
La globalizzazione economica instilla nelle persone una pressione all’autarchia e al rifugio nel privato, una difesa dei propri interessi anche a discapito della comunità. Il soggetto svantaggiato economicamente e culturalmente non ha i mezzi per sostenere l’onere di un cambiamento impellente. Per partecipare attivamente all’azione politica occorre far parte del centro del sistema, ma dove le pance non sono troppo piene, nella periferia del centro economico-sociale[4]. Il popolo di sinistra, della sinistra operaia, degli affittuari di case, di quanti mandano i propri figli nelle scuole pubbliche, delle persone che non possono permettersi i SUV ma pagano la loro utilitaria a rate, non si colloca neppure vicino a questa periferia. La crescente disuguaglianza tra ricchi e poveri che si verifica nei sistemi capitalistici avanzati, ha svuotato la classe media. Era proprio questa classe che un tempo sosteneva gli interessi dei non abbienti.
Oggi i valori che caratterizzavano le vecchie divisioni ideologiche sono liquefatte e si miscelano in modo imprevisto.

Le fratture sociali si sono moltiplicate. Può capitare che un operaio che percepisce un reddito basso sia nel contempo proprietario di case ereditate, e quindi senta l’influenza della retorica di destra anziché di un'apparentemente naturale simpatia per la sinistra. Si assiste ad una sorta di reflusso storico. Può accadere che un governo di sinistra non si schieri dalla parte di un comico etichettato come “terrorista” dall’Osservatore Romano ma che, anzi, se ne dissoci. Beninteso che il comico in questione, Andrea Rivera, avrebbe avuto tutto il diritto di fare della satira perfino contro il Papa. Questi fenomeni revanchisti degenerano spesso in una assolutizzazione “talebana” delle posizioni. Il razzismo oggi è sostenuto dal popolo della sinistra in nome della sicurezza o meglio della legalità della certezza della pena, come ha scritto egregiamente Claudio Poverini in una lettera a Corrado Augias e pubblicata da Repubblica[5]. Molti potenziali elettori di sinistra finiscono per votare a destra poiché i suoi esponenti non sono stati in grado di intercettare questi nuovi bisogni.

La creazione artificiosa di un “agenda” politica che detti attraverso i “media” le proprie urgenze, rende l’elettorato facilmente manipolabile. Il tutto a favore di quanti possono accedere finanziariamente a tali mezzi. Per quanto riguarda il discorso dei media è doveroso precisare che anche un telefilm in pre-serata ha il potere di influenzare il telespettatore. Film, telefilm, soap opera, telegiornali di dubbia imparzialità, talk shaw, i criteri di notiziabilità, e quant’altro: tutto contribuisce alla persuasione profonda a livello di valori. I proprietari dei mezzi di informazione sono grandi imprenditori, presumibilmente di una destra liberale. I valori che i media propongono sono un riflesso dell’ideologia dell’imprenditore: il successo, la cura di sé, il self-made man, ma anche la venerazione di rendite da posizione, i soldi facili e l’accettazione di un certo grado di rischio per raggiungere un determinato obiettivo.

Con la caduta del muro di Berlino è terminata l’Era Industriale e vedeva la luce una nuova era: l’Era dell’Informazione[6]. Prima del 1989 chi votava a sinistra ricercava libertà, una nuova ventata di riformismo e progresso. Ci si affidava alla sinistra in tempi di vacche grasse, quando l’esistente era protetto e si guardava con fiducia a nuovi rapporti sociali. La destra, al contrario, appariva come una forza a cui ricorrere in tempi incerti. Quando il cambiamento era percepito rischioso. In altri termini, la destra forniva ai propri elettori il giusto quantitativo di “sicurezza”.
Nella nuova era non più fondata sulla certezza delle relazioni industriali ma permeata dalla precarietà, dalla caducità del sistema pensionistico, dal divario crescente tra ricchi e poveri e tra chi sa e chi non sa, la destra rappresenta un agente di rinnovamento sociale. Il liberismo, l’intransigenza nei confronti degli immigrati, la protezione del sistema economico nazionale e il sostegno alle forme contrattuali atipiche ma ad alto contenuto di professionalità, sono percepite dall’elettorato come elementi di “libertà”[7]. Al contrario ci si affida alla sinistra per garantire il proprio posto statale, per migliorare le pensioni minime, per tutelare maggiormente quanti non hanno i mezzi economico-culturali e svolge mansioni a basso valore aggiunto[8]. I movimenti conservatori e liberali si trovano in una situazione premiante poiché in tempi di incertezze le persone tendono a regredire alla “prima risposta appresa”, ossia al bisogno di sicurezza. D’altronde lo stesso Maslow sosteneva nella sua celebre piramide dei bisogni che solo dopo aver risolto il problema della sicurezza l’uomo riesce a focalizzarsi su altri bisogni non strettamente legati alla sopravvivenza ma al successo e alla libera iniziativa individuale[9].



[1] Come ha sostenuto l’analista politico Gilles Saint-Paul, in Francia il dibattito elettorale si è concentrato su argomentazioni economiche. Gilles sostiene che la vittoria di Nicolas Sarkozy sia dovuta in larga parte ad un’arcaica interpretazione delle esigenze politiche dei cittadini francesi da parte della sinistra di Sègolene Royal, soprattutto riguardo alla nuova classe sempre più numerosa dei proprietari di immobili. Gilles Saint-Paul, Perché ha vinto Sarkozy, 7 maggio 2007, da LaVoce.info.
[2] Discorso del Premier al forum organizzato da Corriere e Bocconi, 8 maggio 2007.
[3] Discorso del Presidente portoghese della Commissione che ha aperto il forum Economia e società aperta, 8 maggio 2007
[4] L.W. Milbrath, Political Partecipation, 1965. Milbrath ritiene che sia dominante la variabile relativa allo status socio-economico dei partecipanti. La leadership del movimento e comunque i settori che danno l’avvio al movimento non sono individui “periferici” in assoluto ma piuttosto individui collocati alla “perifera del centro” con risorse sufficienti a garantire l’attivazione. A.Melucci, Sistema politico, partiti e movimenti sociali, 1979.
I membri delle classi minacciate di declassamento e quelli delle classi in ascesa hanno in comune la delusione nei riguardi di un ordine in cui avevano creduto per cui, nell’impossibilità di realizzarsi, sono trascinati ad esplorare strade alternative”. Occorre distinguere coloro che danno inizio ad un movimento da coloro che se ne avvantaggiano. F.Alberoni, Movimento e Istituzione, 1977.
[5] Lettera del 7 maggio 2007.
[6] Si veda sull’argomento il libro di R.T.Kiyosaki-S.L.Lechter, I quadranti del cashflow, 1998
[7] Bertrand de Jouvenel, Du pouvoir, 1947. L’autore afferma che in ogni società esistono individui che non si sentono mai abbastanza protetti, i “securitari” e individui che non si sentono abbastanza liberi, i “libertari”. Franco Crespi ritiene che l’emancipazione dell’individuo debba necessariamente compiersi attraverso un rafforzamento della capacità di affrontare il rischio.
[8] Per una bella analisi dell'elettorato di sinistra si veda l'articolo del 3 giugno 2007 di Ilvo Diamanti, La sinistra impopolare da La Repubblica.
[9] Abraham Maslow, Motivation and Personality, 1954. La gerarchia dei bisogni è suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari (necessari alla sopravvivenza dell'individuo) ai più complessi (di carattere sociale), l'individuo si realizza passando per i vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo progressivo. I livelli di bisogno concepiti sono (da Wikipedia):
Bisogni fisiologici (fame, sete, ecc.);
Bisogni di salvezza, sicurezza e protezione;
Bisogni di appartenenza (affetto, identificazione);
Bisogni di stima, di prestigio, di successo;
Bisogni di realizzazione di sé (realizzando la propria identità e le proprie aspettative e occupando una posizione soddisfacente nel gruppo).

venerdì 9 febbraio 2007

La maledizione dei pionieri

Technorati Profile

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A volte ripenso a Renato Pozzetto. Non capita spesso, certo. Ma sono un consumatore di commedie. In teatro assisto a spettacoli comici, in televisione Zelig mi rapisce per la sua capacità di penetrare all’interno delle sensibilità e scardinare gli schemi, sebbene non riesca a sopportare il tormentone “a oltranza”. Sempre più spesso i comici, trasfigurando il piano del simbolico, ci investono con la loro carica semiotica, mostrandoci i veri non-sense del Palazzo. D’altronde la satira cos’è se non la continua antitesi del potere

Mi chiedo come facciano. Far ridere è complicato. E’ una questione seria, che va affrontata scientificamente. Sono sempre di meno gli attori che recitano “a braccio”, probabilmente perché c’è poco ancora da mettere in scena. La Tv è un medium che pone dei limiti. L’arte che vi si può sviluppare è limitata al contesto tecnologico in cui si inserisce, ai gusti del pubblico e alle regole del linguaggio. Ma il linguaggio è soggetto a infinite interpretazioni, ed è proprio qui che entra in scena il comico. Cos’è la comicità? Un non detto, una non-esecuzione di ciò che si pretendeva di eseguire, un non luogo, l’avvertimento del contrario. Mica roba semplice.

Renato Pozzetto, dicevo. Negli anni settanta e settanta il duo
Cochi-Renato dominava la scena televisiva italiana. Negli anni ottanta Pozzetto si è addirittura rivelato un attore cinematografico di discreto successo. Era divertente. Ricordo benissimo che nel corso della mia infanzia la mia ansia di vedere “Il ragazzo di campagna” era eguagliata soltanto dalla voglia di giocare a “Kick Off 2” sul mio vecchio Amiga.
Oggi ho 30 anni. Sono cresciuto. Crescere significa tornare nei luoghi dell’infanzia e rendersi conto di quanto li senti diversi. Guardare Renato Pozzetto in Tv (ma per certi versi il discorso vale anche per Massimo Boldi) ha su di me lo stesso effetto di regressione e di consapevolezza. Il dubbio è che non riesco a capire se l’effetto sia dovuto alla mia evidente diversità o ad una incapacità dell’attore di rinnovarsi . Persino Max Pezzali, ex 883, sta investendo su un cambio di immagine. Madonna ne è la regina. Questi personaggi inventano di continuo delle varianti dello stesso tema, in modo tale da lasciare una certa coerenza al proprio nucleo identificativo. Sembra che si rinnovino incessantemente, ma è solo un’illusione.
L’innovazione radicale in realtà devasta il vecchio ordine sensoriale[1]. E’ un “big bang”. Modifica la struttura stessa della nostra percezione avendo un impatto su tutti gli altri settori dell’esperibile. L’autore è anche percettore, per un certo periodo, di un naturale “monopolio dell’innovatore”.

Renato Pozzetto, oggi, non mi diverte più perché non è riuscito a reinventarsi. Il suo umorismo è datato. Era sulla cresta dell’onda negli anni sessanta. Pozzetto è stato un pioniere. Su di lui, molti altri comici hanno tratto spunto e “rubato” il mestiere. L’hanno attualizzato. Hanno usato il suo stile, le sue gag, le sue intuizioni comiche come le “canzoni intelligenti”. Ma inventare un’arte non significa esserne maestri incontrastati per sempre. Basti guardare gli inglesi nel calcio. Hanno vissuto un momento di gloria, hanno vinto un mondiale (peraltro discutibile) e hanno conquistato diversi trofei continentali a livello di club. Ma i campioni sono altri. Pozzetto è come un cow-boy. Lui ha iniziato un genere, l’altro ha colonizzato una nazione. Entrambi oggi appaiono anacronistici agli occhi di chi, in quella “nazione” è vissuto.

[1] L’invenzione moderata si ha quando si proietta direttamente da una rappresentazione percettiva in un continuum espressivo, realizzando una forma dell’espressione che detta le regole di produzione dell’unità di contenuto equivalente. Il destinatario deve procedere all’indietro per inferire ed estrapolare le regole di similitudine implicate e ricostruire il percetto originario. Si tratta in realtà di un discorso. Quello che è un bruto continuum organizzato percettivamente dall’artista, a poco a poco, si fa organizzazione culturale del mondo.
Con l’invenzione radicale, invece, il mittente “scavalca” il modello percettivo e “scava” direttamente nel continuum informe, configurando il percetto nello stesso momento in cui lo trasforma in espressione. In questo caso la trasformazione, l’espressione realizzata, appare come un “artificio stenografico” attraverso cui il mittente fissa i risultati del suo lavoro percettivo, ed è solo dopo aver realizzato l’espressione fisica che anche la percezione assume una forma e dal modello percettivo si può passare alla rappresentazione sememica. Tale è per esempio il principio secondo cui si sono avute tutte le grandi innovazioni della storia dell’arte. In questo caso si ha violenta istituzione di codice, radicale proposta di nuova convenzione. La funzione segnica non esiste ancora, né si può imporla. Di fatto il mittente scommette sulle possibilità della semiosi e di solito perde. Talora ci vogliono secoli perché la scommessa renda e la convenzione si instauri. Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, 1975. Da Ugo Volli, Il libro della comunicazione, 1994.

martedì 6 febbraio 2007

A "scuola" di reality










La globalizzazione rappresenta la sfida fondamentale con cui le economie avanzate devono confrontarsi. Il livellamento verso il basso dei salari e del welfare può essere controbilanciato da politiche orientate alla formazione di forza-lavoro qualificata in grado di fornire gli skills essenziali per servizi ad alto valore aggiunto.

Ma gli enti formativi italiani sono in grado di rispondere a questa richiesta impellente? E, soprattutto, davvero è possibile collocare questi lavoratori iper-qualificati? I ragazzi di oggi hanno capito l’importanza della formazione per raggiungere adeguati livelli retributivi e di soddisfazione professionale?

A dire il vero sembrerebbe che i ragazzi italiani non abbiano a cuore le sorti della propria vita lavorativa. O almeno non comprendono il nesso tra istruzione e futuro lavorativo. Secondo l’ISTAT un giovane su tre si ferma alla licenza media
[1]. E questo dato è corroborato dal fatto che soltanto 8 italiani su 100 possiedono una laurea e che lo spirito di iniziativa imprenditoriale dei giovani italiani si attesta al 7%[2].
I nuovi imprenditori, da un lato non possiedono gli strumenti formativi per accedere al sempre più competitivo mercato globale, e dall’altro mancano di risorse finanziarie importanti, nonché dell’accesso al credito
[3].
Anche se diamo uno sguardo alla cronaca ci rendiamo conto che gli studenti italiani guardano la scuola con distacco, come un posto dove bisogna andare ma che non ha nessun collegamento con lo status o la crescita professionale. L’istruzione non rientra più tra le primissime necessità delle famiglie a reddito medio-basso e con genitori non laureati. Essa è avversato da una mentalità giovanile più avvezza alla goliardia e al bullismo. Dedicarsi durante l’orario delle lezioni ad attività quali giocare con il telefonino, mandare sms o ascoltare musica con l’Ipod è segnale di una profonda mancanza di rispetto nei confronti dell’istituzione scolastica, e di una omissione di sensibilizzazione da parte degli agenti di socializzazione primaria come la famiglia. Ma preoccupa soprattutto l’aumento dei fenomeni di bullismo all’interno delle scuole italiane. Quasi otto ragazzi delle medie su dieci hanno conosciuto da vicino atti di bullismo, o perché ne sono stati vittima, o perché lo hanno subito i loro amici. Per l’antropologo Fernando Nonnis il fenomeno è in crescita ed alla sua base ci sarebbe l’indifferenza, che interessa anche i docenti. Lo psichiatra Emilio Lupo crede che l’uso della nuova tecnologia fa vedere e vivere la vita come se fosse un grande gioco o videogioco. “Come la società della comunicazione ti brucia tutto, così succede per la violenza: ti brucia tutto senza che ti assuma le tue responsabilità. La violenza diventa la risposta ai problemi. Coi ragazzi invece bisogna parlare senza fretta e far capire loro l’importanza delle cose”.
[4]
Ma è colpa soprattutto del Legislatore e del rilassamento dei docenti. Di recente il ministro Fioroni ha proposto un giro di vite sull’uso dei telefonini nelle scuole
[5], ma doveva essere il buon senso dei docenti e degli stessi studenti a prendere la decisione. Il premio nobel James Heckman vede nell'autonomia degli insegnanti sotto il profilo dei programmi di insegnamento e nella flessibilità degli stipendi in funzione della loro capacità, la soluzione del problema educativo[6]. Il nobel Gary Becker ritiene, a sostegno di questa tesi, che quando ci sono una competizione tra le scuole e una reale parità scolastica, viene meno la carriera burocratica che deprime le motivazioni dei docenti più volenterosi.

In passato si pensava, invece, che una scuola omogenea ma di qualità avrebbe potuto diminuire le disuguaglianze sociali e promuovere la mobilità. Ma non è andata così. Chi ha la fortuna di nascere figlio di genitori laureati e benestanti, ha più possibilità di accedere a posizioni lavorative di alto livello rispetto ai figli di operai
[7].

Ma in Italia si assiste ad una curiosa inversione rispetto alle tendenze globali di divisione del lavoro. L’enorme serbatoio di manodopera generica e a basso costo dell’Asia e di altri paesi emergenti, non ha depotenziato l’attività manifatturiera italiana. Di fatto il modello fondato sulle piccole aziende familiari riesce a competere brillantemente con i concorrenti globali[8]. Ma anche le grandi aziende scommettono tuttora sul bacino di manodopera che possono fornire alcune aree italiane. Il paradosso è che oggi ai figli viene consigliato di non intraprendere la tortuosa e rischiosa carriera universitaria, bensì di acquisire esperienza per svolgere al meglio un “mestiere”. E’ frequente che gli operai anche generici percepiscano un salario più elevato rispetto ad un laureato e che abbiano più tutele contrattuali.


Le famiglie meno abbienti hanno effettivamente più avversione al rischio (nel senso di variabilità dei salari) rispetto alle famiglie più agiate. Per i ragazzi svantaggiati, il rendimento della laurea risulta inferiore rispetto ai figli dei laureati, mentre il costo opportunità (in termini di salari perduti per titolo di studio del genitore) è maggiore. È infatti possibile che a parità di titolo di studio, le opportunità di lavoro offerte siano differenziate per famiglia di origine, per esempio grazie alle reti familiari.
Una notevole importanza in questo senso lo riveste il sindacato che, nella sua difesa conservatrice dei diritti di chi è già occupato, ha di fatto creato una casta di intoccabili (soprattutto nella Pubblica Amministrazione
[9]) a danno degli inoccupati e di chi è impiegato con uno dei nuovi contratti previsti dalla Legge Biagi. Il sindacato dovrebbe prendersi cura maggiormente degli svantaggiati e di chi non ha le risorse per inserirsi nel mondo del lavoro anziché dividere l’Italia in una lotta di interessi generazionale tra padri tutelati con un lavoro stabile e figli precarizzati.

Le grandi aziende non lasciano del tutto l’Italia per traslocare in Cina o India poiché qui trovano un terreno più favorevole in termini di infrastrutture, democrazia, risorse qualificate, legalità, volatilità dei marcati finanziari e altro. Tutti questi vantaggi annullano il semplice calcolo aritmetico improntato sul mero costo del lavoro. In realtà ciò che conta è il costo unitario della manodopera, ossia il valore della manodopera occorrente per generare un’unità di prodotto o di servizio. Questo indicatore tiene conto, in ultima analisi, della produttività.
E’ dimostrato che, dove sussistono lavoratori acculturati ed esperti e macchinari di ultima generazione, in presenza di salari anche elevati, i costi unitari della manodopera risultano nettamente inferiori
[10].
La produttività è garantita dalla formazione di buona qualità impartita dagli istituti tecnici italiani. Il sistema formativo italiano “orientato all’appropriatezza
[11], eroga un’istruzione generalista che conferisce allo studente la capacità di apprendere in modo permanente. In seguito l’azienda gli darà tutti gli skills per svolgere al meglio il proprio lavoro.
Resta il fatto che oggi i lavoratori generici stanno prendendo una rivincita nei confronti dei lavoratori più istruiti. Ma al di là di congiunture favorevoli, la produzione è destinata a lasciare i paesi ad alto costo del lavoro per trasferirsi altrove.

Ed in questo contesto che gli studi hanno dimostrato una netta flessione della domanda di forza lavoro semi-qualificata, sia di impiegati amministrativi, sia anche di forza lavoro qualificata per un mestiere specialistico (alle quali i tradizionali interventi formativi erano rivolti). E’ invece aumentato il bisogno di forza lavoro qualificata in modo polivalente e di tecnici. Ma ancor più decisivi sembrano diventati i ruoli di coordinamento, quindi il livello di qualificazione di quadri e management e, per le piccole imprese, la formazione dello stesso imprenditore da un lato, e l’area commerciale (vendita, marketing, relazioni esterne e assistenza al cliente) dall’altro[12]. Per lo più sono settori ad alto turn-over, caratterizzati da alta flessibilità e normati perlopiù da contratti a termine oppure legati ai risultati.

In realtà, infatti, esiste un limite insuperabile alla creazione di risorse qualificate e la loro successiva allocazione. Oggi la stragrande maggioranza dei ragazzi italiani preferisce frequentare un corso di laurea generico-umanistico, piuttosto che uno di carattere scientifico. Le lauree cosiddette “deboli” conferiscono quelle capacità di coordinamento e di managerialità che le società moderne richiedono
[13]. Però, purtroppo, la genericità dei programmi di studio rende poco spendibile questo tipo di titolo nel breve periodo. Vi è da dire che comunque la mansioni di tipo tecnico sono relativamente facili da esportare, per cui il mercato potenziale, anche per questi nuovi laureati, è ristretto.
Sfornare tanti laureati senza creare un tessuto produttivo capace di assorbirli, deprime la forza lavoro e crea tensioni sociali. La globalizzazione, inoltre genera un aumento della disparità dei redditi tra chi può accedere ai capitali e chi no, anche a causa del gap culturale.
Il distacco tra competenze culturali e contesto imprenditoriale è più sfavorevole nel sud rispetto al nord. Diplomati e laureati di queste zone non riescono ad accedere al mercato del lavoro e sono costretti a restare in senza poter vivere quei passaggi all’età adulta indispensabili per la maturità. Ciò stimola la creazione di una spirale viziosa che non permette la formazione di ulteriori imprenditori. In un rapporto della Banca Mondiale una giovane giamaicana mette a fuoco il senso di impotenza e insicurezza che la povertà infonde nelle persone: “La povertà è come vivere in prigione in schiavitù, in attesa di essere liberati
[14].
E’ proprio questa voglia di liberarsi dalle catene dell’indigenza che spinge gli studenti dei paesi in via di sviluppo verso una maggiore responsabilizzazione. Essi vivono l’istruzione come un mezzo per ottenere riscatto sociale.

Nella società italiana la situazione è, però, profondamente diversa. La carnevalizzazione della vita quotidiana, in cui regna l’irrisione, il capovolgimento, il bizzarro, egemonizza i rapporti sociali e l’immaginario collettivo[15]. Oggi la cultura dominante (e tollerante fino al punto in cui nulla del suo potere viene messo in discussione), può comportarsi come la televisione, ritenendola definitivamente perduta per il compito di rischiarare le tenebre dell’ignoranza[16]. Tutta la nostra società è come il Carnevale, perché tutto è riconoscibile a casistica fissa, come le maschere della commedia dell’arte. L’irregolarità non è più provocatoria ma “ammaestrata”: “la società è l’istituzionalizzazione del carnevale, e il quotidiano ne viene assorbito e addomesticato”[17].
Tale deriva comunicativa è strumentale all’esigenza dei media e della produzione di indurre le persone a desiderare mondi possibili e, quindi, a consumare.
Il reality, che altro non è che una grande sit-com, instilla nelle menti degli adolescenti (e forse anche in quelle di molti adulti) una poco razionale mentalità sedotta dal “tutto e subito”.
Arricchirsi in modo semplice e soprattutto, senza meriti, è ormai aspirazione di molti. La scuola non è perciò funzionale a questo tipo di società.

[1] Un ragazzo su tre si accontenta della licenza media. Il 31,7% dei giovani si ferma alla scuola dell' obbligo, rinunciando a proseguire gli studi, con il meridione che si aggiudica il primato della scolarizzazione ai minimi livelli. Mentre il record di laureati non si trova più al Centro-Sud ma al Nord. Lo afferma un'anticipazione di TuttoscuolaNews, che ha elaborato dati dell'Istat sul censimento 2001. Da Repubblica.it del 06/02/2005
[2] In Italia - commenta il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli - i giovani si avvicinano tardi al mondo del lavoro. Per aprire un'attività imprenditoriale servono idee, creatività, voglia di rischiare, doti che sicuramente sono nel Dna dei nostri ragazzi in dosi massicce. Ma servono anche risorse economiche e competenze specifiche (tecniche e manageriali). Ciò significa che sono necessari strumenti, anche finanziari, di affiancamento e sostegno soprattutto nella fase di start up e di trasformazione dell'idea in impresa. E serve anche, e questo è un percorso per fortuna già iniziato, un progressivo avvicinamento del mondo della scuola a quello dell'impresa. Fonte Unioncamere-Infocamere, Movimprese. Da Corriere.it del 13/01/2007
[3] Molti si chiedono come possa formarsi una sana classe imprenditoriale se, secondo le statistiche, i consumatori di cocaina sono in fortissimo aumento, soprattutto nel ceto medio-alto. Giuliano Amato ha lanciato l’allarme: “In Italia c’è un consumo gigantesco di cocaina, una domanda spaventosa di cocaina”, da Corriere.it del 02/02/2007.
[4] Bullismo in crescita. Il germe della violenza, 04/02/2007 da l’Unita.it
Secondo la psicologa Donata Francescato il fenomeno del bullismo è l’anticamera dell’ultrà. Il bullismo sarebbe legato al fallimento scolastico e alla mancanza di figure di contenimento come gli insegnanti di sesso maschile.
[5] Da Corriere.it del 29/01/2007.
[6] Giorgio Vittadini, Non c’è futuro senza una buona scuola, da Formiche.net del 01/02/2007.
[7] Daniele Checchi, Carlo Fiorio, Marco Leopardi, Uguali perché mobili, La Voce del 15/01/2007.
[8] Come dimostra la recente indagine Ucimu, le piccole imprese italiane sono ormai leader dell'automazione. Da Ilsole24ore.com del 07/02/2007.
[9] Pietro Ichino, A che cosa serve il sindacato? Le follie di un sistema bloccato e la scommessa contro il declino,2005.
L’autore ripropone, come in una cronaca giornalistica, emblematiche vicende del difficile stato delle relazioni sindacali nell'Italia contemporanea: dal caso dell'Alitalia, dove le hostess sembrano ammalarsi a comando per scioperare anche quando è proibito, a quello del ministro del lavoro che appoggia il sindacato che le organizza; dalle agitazioni che interessano due volte al mese ferrovie e trasporti urbani alla vicenda degli uomini radar, che scioperano anche perché durante lo sciopero non perdono la retribuzione.
Pietro Ichino, I nullafacenti. Perché e come reagire alla più grave ingiustizia della nostra amministrazione pubblica, 2006. Ichino illustra il progetto dell'istituzione di organi indipendenti di valutazione (0IV) capaci di stimare l'efficienza degli uffici pubblici e dei loro addetti, per consentire il licenziamento nei casi più gravi, ma anche l'aumento delle retribuzioni dei dipendenti che lavorano per due.
Pietro Ichino, Per rompere il circolo vizioso, La voce.info del 06/02/2007 e Tito Boeri, Giuseppe Pisauro, La via burocratica alla produttività, da La Voce.info del 06/02/2007.
[10] Suzanne Berger a altri autori, Mondializzazione: come fanno per competere?, 2005. Si veda anche Antonio Cobalti, Globalizzazione e istruzione, 2006.
[11] Secondo Regini i sistemi di istruzione e di formazione professionale sono di due tipi. Il primo può essere caratterizzato come “orientato alla ridondanza” (Modello Renano), cioè capace di, e mirato a, produrre un’offerta di lavoro qualificato sovrabbondante, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, rispetto alla domanda effettiva (Rhone-Alpes, Baden-Wurttenberg). Il secondo tipo di sistema educativo e formativo può essere definito come “orientato all’appropriatezza” (Modello Latino), ovvero al relativo adeguamento ex-post ai bisogni esplicitamente avvertiti dalle imprese, anziché alla capacità di anticiparli (Lombardia, Catalogna). Marino Regini, Modelli di capitalismo, 2000.
[12] Ibidem.
Aris Accornero ritiene che il lavoro oggi è diventato meno maschile-rigido-esecutivo-performativo, e più femminile-fluido-cognitivo-relazionale. I contenuti sono meno manipolativi e più cognitivi, i compiti sono meno esecutivi e più cooperativi, le attitudini sono meno specializzate e più polivalenti. Inoltre il concetto di servizio è diventato una coordinata della produzione. Aris Accornero, Era il secolo del Lavoro, 1997. Si veda anche Jeremy Rifkin, La fine del lavoro, 1996.
[13] Maurizio Sacconi e Michele Tiraboschi, Un futuro da precari?, 2006. Il percorso universitario ha senso a condizione che non sia una scelta scontata o, peggio, subita passivamente. Non tutte le lauree sono uguali, così come neppure tutte le università sono uguali. Una scelta responsabile e consapevole richiede un adeguato orientamento e una corretta informazione. Eppure i nostri ragazzi hanno un’insana inclinazione a concentrarsi nelle lauree “deboli” e a scegliere una sede universitaria “comoda”.
[14] Joseph E. Stiglitz, La globalizzazione che funziona, 2006.
[15] Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare, 1965.
[16] Gian Paolo Caprettini, La scatola parlante, 1996.
[17] Umberto Eco, Tutto è segno, ma il segno è tutto?, in Tuttolibri n.5 del 29/04/1975, intervista rilasciata a Furio Colombo.

giovedì 25 gennaio 2007

I costi della "falsa coscienza"

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Essere gay, divorziati, conviventi, poveri o malati terminali può essere molto pericoloso. C’è sempre qualcuno che vuole aiutarti.

Non esiste soltanto il fondamentalismo islamico. Altre istituzioni si ergono a paladini della Verità. Ma la storia ci ha insegnato che un movimento verso una direzione crea una forza uguale e contraria. Ed in mezzo alle due forze ci sono tessuti sociali ed economici che si disgregano. Il Fondo Monetario Internazionale ha portato sul lastrico intere nazioni a tutto vantaggio delle classi dominanti dei paesi sviluppati. La Chiesa Cattolica, altresì, non tiene conto delle minoranze culturali e delle esigenze di società dinamiche ed interdipendenti.
Il clero si comporta come il Fondo Monetario Internazionale. Entrambi si appropriano di congetture teoretiche derivanti da una tradizione lontana e iniettano le susseguenti “soluzioni” nella società civile. Il problema è che a determinate domande si risponde con adeguate risposte, ed ogni situazione è diversa dall’altra. Inoltre sembra, per quanto riguarda il FMI, che la scienza economica e le teorie dello sviluppo si siano fermate ad Adam Smith e Jean-Baptiste Say.
John Maynard Keynes, colui che più di chiunque altro è riuscito a mediare tra l’economia pianificata e il liberismo sfrenato, è del tutto escluso dai suoi tecnocrati[1]. Queste soluzioni, prese per vere “a priori” si assolutizzano, ed in seguito si sedimentano sui popoli e soprattutto sulle classi svantaggiate, senza prendere in considerazione le particolarità dei diversi contesti socio-culturali. Tali politiche, di fatto, sono anti-storiche.
Entrambe, inoltre, cercando di risolvere i danni del sottosviluppo, inteso dalla chiesa come incapacità di una lettura corretta degli insegnamenti di Cristo e dal FMI come condizione di povertà materiale, non fanno altro che corrodere le società e moltiplicare i problemi. Le società, in questo modo, diventano sempre più decadenti sia dal punto di visto religioso sia dal punto di vista del reale benessere civile misurato dall’Indice di Sviluppo Umano[2].

Il FMI rende impossibile lo sviluppo dei paesi sotto-sviluppati. il Premio Nobel Joseph E. Stiglitz, la accusa di essere un'istituzione manovrata dai poteri economici e politici del cosiddetto Nord del mondo e di peggiorare le condizioni dei paesi poveri anziché adoperarsi per l'interesse generale. Egli accusa il Fondo Monetario di aver imposto a tutti i paesi una "ricetta" standardizzata, il “Washington Consensus”, basata su una teoria economica semplicistica, che ha aggravato le difficoltà economiche anziché alleviarle. Il Washington Consensus è basato sulla non recente teoria neoliberista la cui ricetta prevede il ridimensionamento dell’intervento pubblico nell’economia, deregulation e rapidità della liberalizzazione e delle privatizzazioni[3]. Esattamente ciò che un’economia fragile non può permettersi. Esattamente ciò che favorisce i paesi industrializzati e gli speculatori finanziari.

Analogamente i vertici della Chiesa Cattolica continuano ad impostare un discorso dogmatico fondato sulla tradizione per conservare il tessuto sociale e mantenerlo nei binari della “Verità”, che appunto essi stessi ritengono di possedere. E’ plausibile che la chiusura al dialogo con altre voci della società civile rappresenti un ultimo arroccamento di un soggetto accerchiato che si sente ormai sommerso dalla modernità. Ed è altresì accettabile supporre che dietro la retorica si nasconda una strenua difesa della posizione acquisita all’interno dell’universo immaginifico dei credenti, e un sussulto di credibilità fondata sulla coerenza. La coerenza è un’arma psicologica importante poiché insistere sugli stessi argomenti e ritenere che siano gli unici possibili innesca un senso di sicurezza in personalità particolarmente predisposte.

Nel divenire delle dinamiche umane, uno scoglio inamovibile è destinato ad essere sommerso. Per ricostituire davvero gli interessi particolaristici anche di determinati gruppi di potere, è necessario in realtà assecondare la corrente.

Il cardinale Camillo Ruini, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, risponde a quanti hanno criticato la scelta dei vertici ecclesiastici di non concedere i funerali religiosi e Piergiorgio Welby. “Una vicenda umana dolorosa che mi ha chiamato in causa anche personalmente quando è giunta la richiesta del funerale religioso. La sofferta decisione di non concederlo nasce dal fatto che il defunto, fino alla fine, ha perseverato lucidamente e consapevolmente nella volontà di porre termine alla propria vita: in quelle condizioni una decisione diversa sarebbe stata per la Chiesa impossibile e contraddittoria, perché avrebbe legittimato un atteggiamento contrario alla legge di Dio”. Come a dire che sarebbe stato ragionevole celebrare il funerale, ma non sarebbe stato conforme alla volontà di Dio. Ergo, Dio non è ragionevole. Quando i discorsi si attorcigliano fra di loro, è indubbia la deliberata volontà di difendere interessi che poco hanno a che vedere con il Sacro
[4].

Cardinal Ruini insiste sulla battaglia contro i pacs. Egli ha ribadito la contrarietà della Chiesa cattolica ai pacs e alle unioni di fatto. I diritti dei conviventi e dei loro figli sono già assicurati dal «diritto comune», ha detto. Non c'è motivo di «creare un modello» legislativo che «configurerebbe qualcosa di simile a un matrimonio, dove ai diritti non corrisponderebbero uguali doveri». Ruini ha osservato che alcune coppie gay spingono per i pacs «con cui intenderebbero aprire la strada per il matrimonio» omosessuale. «Una simile rivendicazione», ha proseguito il porporato, «contrasta con fondamentali dati antropologici e in particolare con la non esistenza del bene della generazione dei figli, che è la ragione specifica del riconoscimento sociale del matrimonio». E’ inverosimile l’argomentazione basata sulla antropologia, soprattutto da parte di chi ha combattuto ferocemente contro molte delle tesi sull’evoluzione umana.
Ruini impiega i concetti scientifici come strumenti per scardinare porte che si presentano man mano sul cammino. In recenti dibattiti sul controverso tema dell’eutanasia Ruini descrisse l’embrione come “composto umano dotato di anima e corpo”[5]. L’antropologia, in questo caso, smonterebbe la sua tesi.

Ma quali sono i costi di quest’operazione di iniezione di falsa coscienza nella società civile? Innanzitutto ansia e rabbia da parte delle minoranze “diverse” o che vivono dal versante sbagliato del capitalismo[6], con evidenti ripercussioni sulla loro felicità. In secondo luogo vi possono essere veri e propri costi economici di ampia portata. Quanto influisce la scelta della Chiesa di non toccare gli embrioni per la ricerca genetica? Moltissimo in termini di vite umane e di ricerca scientifica. Quanti sono morti in Africa di AIDS per l’avversione al preservativo. Quanti malati non chiedono altro che di lasciare le sofferenze alle spalle, e sono costretti a soffrire contro la propria volontà?

Ma anche il FMI ha generato disastri. Il fondamentalismo economico del Washington Consensus, ha devastato l’economia argentina. La crescita, infatti, non era sostenibile. Si basava su un forte indebitamento verso l’estero e su privatizzazioni che vendevano le risorse nazionali agli stranieri e i cui proventi non venivano reinvestiti. Ci fu un boom dei consumi. Il PIL aumentava, ma la ricchezza nazionale diminuiva. La crescita sarebbe durata per soli sette anni, seguiti da un periodo di recessione e stagnazione[7].
Strategie deliberate fondate sull’assoluta negazione del dubbio, conducono inevitabilmente a risultati contrari rispetto allo scopo che si prefiggono. Infatti, secondo un recente sondaggio, per il 53% dei cattolici gli interventi delle autorità ecclesiastiche nel dibattito pubblico non sono corretti. Il sondaggio mostra, anzi, una forte autonomia dell'elettorato cattolico rispetto alle indicazioni ufficiali, e in particolare tra quello praticante
[8].

Arthur Schopenhauer, nella sua teoria della dialettica come arte di ottenere ragione, sostiene che non si deve prendere in considerazione la verità oggettiva per avere ragione anche perché tale verità non esiste. Per vincere uno scontro dialettico, la forma dei concetti ha la stessa importanza dei contenuti
[9].

Ruini, al fine di confutare l’ipotesi del matrimonio omosessuale utilizza un semplice stratagemma retorico: per fare in modo che l’avversario accetti una tesi dobbiamo presentare la tesi opposta avendo l’accortezza di esprimere tale opposto in modo assai stridente. Se non vuole essere paradossale, egli deve risolversi alla nostra tesi che invece appare molto probabile (stratagemma n. 13), anche perché in questo caso si basa sulla scientificità dell’antropologia[10].
Parlando di Welby, il cardinale ritiene che la sua scelta vada contro la “legge di Dio”. Lo stratagemma dialettico n. 30 di Schopenauer è l’”argumentum ad verecundiam”. Si ha buon gioco quando si ha un’autorità che l’avversario rispetta dalla propria parte. Queste autorità possono essere reali, concettuali o addirittura immaginarie, anche i pregiudizi possono essere usati come autorità. Aristotele dice: non c’è alcuna opinione, per quanto assurda, che gli uomini non abbiano esitato a farla propria, non appena si è arrivati a convincerli che tale opinione è universalmente accettata[11]. Anche l’opinione generale può essere valicata come universale. Ma la universalità di un’opinione non costituisce né una prova né un motivo che la rende probabile[12].
Altra riflessione. Umberto Eco, riprendendo Alberto Moravia
[13] denuncia la strumentalizzazione dell’essere umano per comunicare con la massa. Coni il diniego del funerale religioso a Welby, Ruini intendeva mandare un messaggio. Non fate come Welby altrimenti non vi verrà concesso nemmeno il funerale religioso, è Dio che lo vuole. Si è usata così una creatura umana come mezzo invece che come fine. Questo contrasta non solo con ogni etica religiosa ma anche con l'etica laica[14].

Concludendo. L’ideologia[15] intesa come esigenza delle classi dominanti in un dato periodo storico di presentarsi come classe universale determina la creazione di una falsa coscienza[16]. Le attuali conoscenze economiche e la lettura dei testi sacri sono dei mezzi che noi abbiamo per orientarci nel mondo nel tentativo di ridurre l’incertezza, e non dobbiamo lasciarli inerti. A meno che non ci ingannino essi stessi facendoci loro schiavi e convincendoci che sono insuperabili, perfetti e ineluttabili. E al di là di questa presunzione vi è la pretesa da parte degli enti sovra-nazionali come il FMI e la Chiesa di parlare a nome di tutti. Ciò conduce inevitabilmente a diverse conseguenze. Innanzitutto vengono configurati discorsi totalizzanti. I portatori di interessi istituzionalizzati pretendono di controllare quasi ogni aspetto della vita di un individuo, attraverso il massiccio uso della propaganda, che cerca di inculcare nelle menti di tutti i cittadini una “visione del mondo” che non è assoluta ma soltanto contestuale al tempo, allo spazio, alla storia e ai soggetti che l’hanno sostenuta.
L’ideologia è conservatrice, mantiene lo status-quo. Essa mette in atto tattiche di contenimento delle forze motrici del cambiamento al fine di salvaguardare gli interessi della classe dominante. Ma le forze sociali tendono ad entrare in contatto, ad assorbire qualcosa l’una dall’altra. Come due liquidi di di diverso peso, le idee si mischiano. L’ideologia di minoranza[17] si avvicina all’ideologia dominante mettendo in luce nuove contraddizioni e portando altre sfide e nuove elaborazioni ideologiche.
Esempio. George W. Bush difende strenuamente gli interessi americani e soprattutto della classe finanziaria e benestante della società. Muovendosi unilateralmente e rivendicando un ruolo di “gendarme”, custode della legge, gli Usa si arrogano il diritto di esportare democrazie, attaccare nazioni inerti, imporre dazi antidumping ingiustificati, inoculare neoliberismo anche quando non è necessario o ottimale. Questo movimento ha creato una forza contraria, dal popolo di Seattle ai pacifisti, dagli ambientalisti ai sostenitori di un diverso approccio alla politica internazionale. Bush stesso è stato costretto a rivedere molte delle congetture neocon e, nel recente Discorso sullo Stato dell’Unione, ha promosso un nuovo corso ecologista. Bush ha raccolto soltanto dissenso[18] poiché non è stato abile ad assorbire gli opposti, ad allinearsi con le dinamiche sociali. Gli è mancata la saggezza intesa come capacità di usare i concetti, le idee, le culture, le interpretazioni, senza assolutizzarle. In altre parole occorre utilizzare il sapere pur riconoscendone i limiti (sapere di non sapere)[19].
Sembra, invece, che Ruini, il FMI e George W. Bush abusino della loro falsa sapienza.
[1] John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, 1936
[2] L’ISU si differenzia sostanzialmente dal PIL poiché prende in considerazione più fattori legati allo sviluppo delle società: aspettativa di vita, educazione, e il PIL stesso.
[3] Stiglitz fornisce una serie dettagliata di esempi, come la Crisi finanziaria asiatica e la transizione dall'economia pianificata al capitalismo in Russia e nei paesi ex-comunisti dell'Europa orientale: i prestiti del FMI in questi paesi sono serviti a rimborsare i creditori occidentali, anziché aiutare le loro economie. Inoltre il FMI ha appoggiato nei paesi ex-comunisti coloro che si pronunciavano per una privatizzazione rapida, che in assenza delle istituzioni necessarie ha danneggiato i cittadini e rimpinguato le tasche di politici corrotti e uomini d'affari disonesti. Stiglitz osserva che i risultati migliori in materia di transizione sono stati conseguiti proprio da quei paesi, come la Polonia e la Cina, che non hanno seguito le indicazioni del FMI, mentre in Asia il modello economico che ha permesso una massiccia crescita dell'economia di molti paesi si basa su un forte intervento statale, anziché sulle privatizzazioni.Stiglitz sottolinea inoltre i legami di molti dirigenti del FMI con i grandi gruppi finanziari americani e il loro atteggiamento arrogante nei confronti degli uomini politici e delle elites del Terzo Mondo, paragonandoli ai colonialisti di fine XIX secolo convinti che la loro dominazione fosse l'unica opportunità di progresso per i popoli "selvaggi". Le critiche nei confronti del FMI hanno trovato un ulteriore argomento quando nel 2001 l'Argentina, paese che i burocrati del FMI consideravano "l'allievo modello", è andata incontro ad una terribile crisi economica. Il FMI è stato accusato di avervi contribuito con le sue indicazioni o quantomeno di non aver fatto nulla per impedirla. Joseph E. Stiglitz, La globalizzazione che funziona, 2006.
[4] Ruini ha risposto indirettamente al cardinale Carlo Maria Martini che aveva sottolineato la necessità di tenere in considerazione la volontà del malato. «La volontà del malato, attuale o anticipata o espressa attraverso un suo fiduciario scelto liberamente, e quella dei suoi familiari», ha detto Ruini, «non possono avere per oggetto la decisione di togliere la vita al malato». Il cardinale ha citato «l'ampio consenso sul rifiuto dell’eutanasia, quali che siano i motivi e i mezzi, le azioni o le omissioni, addotti e impiegati al fine di ottenerla». Ma allo stesso tempo ha bocciato «l’accanimento terapeutico», definito «il ricorso a procedure mediche straordinarie che risultino troppo onerose o pericolose per il paziente e sproporzionate rispetto ai risultati attesi. La rinuncia all’accanimento terapeutico non può però giungere a legittimare forme più o meno mascherate di eutanasia e in particolare l’«abbandono terapeutico». 22/01/2007.
[5] Si veda una aspra critica di Giovanni Sartori, Embrione anima e fede. Non si emargini la ragione. 02/01/2006.
[6] Si veda Adrian Sambuchi, Burattinai del mondo. La faccia nascosta della globalizzazione, 02/12/2006.
[7] Joseph E. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, 2002
[8] sondaggio della Swg commissionato dai Cristiano Sociali, ed illustrato in una conferenza stampa dal coordinatore del Movimento, Mimmo Lucà e da Tarcisio Barbo. 23/01/2007.
[9] Arthur Schopenauer, L’arte di ottenere ragione, 1830-31.
[10] Scientificità peraltro “parziale” visto che molte specie animali non disdegnano i rapporti omosessuali.
[11] Aristotele, Etica Nicomachea.
[12] Jeremy Bentham, Tactique des assemblées législatives, 1816.
[13] Alberto Moravia, L’uomo come fine, 1954.
[14] Umberto Eco, L’uomo come fine, da L’Espresso, gennaio 2007. Questi affronta il tema della pena di morte. La strumentalizzazione della morte è, in questo caso, finalizzata alla creazione di un messaggio. Eco Ricorda le varie analisi che i semiotici e i sociologi avevano fatto ai tempi d'oro del terrorismo nostrano. Il terrorista non ammazzava Tobagi, Casalegno, Bachelet e persino Moro perché lo odiava, ma perché intendeva inviare un messaggio a fini di destabilizzazione. La vittima non era, perciò, mirata
[15] Karl Marx, Sacra Famiglia, 1845; Miseria della Filosofia, 1847; Ideologia Tedesca, 1845. L’ideologia marxiana avverte che l'insieme di tutte le teorie filosofiche, politiche, morali, religiose non sono autonome ma, essendo prodotti umani, sono vincolate a come gli uomini vivono; per cui appaiono autonome solo in una società dove nei rapporti (Verkher) di produzione, i mezzi per produrre e l'uso di questi è diviso tra classi. In altre parole, l'ideologia è il modo di vedere la realtà di una classe sociale. Questa fu la tesi che poi venne chiamata del "materialismo storico", non avendo Marx stesso elaborato alcuna teoria generale.
[16] Per Antonio Gramsci, l'egemonia culturale prevede che un gruppo sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso le pratiche quotidiane e le credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo. Attraverso istituzioni egemonizzate dalla borghesia, come la scuola dell'obbligo, i mass media e la cultura popolare, le masse dei lavoratori sarebbero state indottrinate verso una falsa coscienza, acquisendo valori, come il consumismo ed il nazionalismo, che li allontanavano dalla rivoluzione che, nell'idea marxista, avrebbe portato alla soddisfazione dei loro veri bisogni. Nell'idea di Gramsci, per poter arrivare alla rivoluzione comunista era prima necessario combattere una "guerra di posizione" per sostituire l'egemonia culturale della borghesia con quella degli elementi anticapitalisti.
L'analisi gramsciana dell'egemonia culturale è stata introdotta in termini di classi (in senso marxista), ma può essere applicata in termini più generali: l'idea che le norme culturali prevalenti non debbano essere viste come "naturali" o "inevitabili" ha avuto un'enorme influenza sia nel campo politico che nel campo scientifico.
[17] Ideologia come la interpreta Karl Mannheim. Egli distinse tra un concetto universale ed uno particolare di ideologia. In senso particolare s'intende per essa l'insieme delle contraffazioni della realtà, che un individuo compie più o meno coscientemente. In senso generale s'intende per essa l'intera "visione del mondo" di un gruppo umano, per es. una classe. La prima va analizzata dal punto di vista psicologico, la seconda da quello sociologico. Ideologia e Utopia sono due realtà trascendenti distinte, delle quali solo la seconda è realizzabile. Karl Mannheim, Ideology and Utopia, 1929.
[18] Un sondaggio condotto da Abc News e Washington Post Poll rivela che Bush è più impopolare di qualunque altro presidente. 24/01/2007.
[19] Franco Crespi, Mediazione simbolica e società, 1982.