lunedì 27 novembre 2006

Dalle periferie del Basso Impero

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[1]
L’impero romano
è caduto a causa di un mix di contraddizioni endogene e dalla crescita demografica dei popoli barbari. Le prime hanno causato l’indebolimento del nucleo stesso dell’espansionismo romano come l'esercito e l'Imperatore. Dall’esterno invece molti popoli conquistati crescevano e covavano voglia di riscatto. Copiando le tecnologie ed usando le vie di comunicazione dei Romani, questi popoli hanno messo in ginocchio l'Invasore[2]. L’impero Americano di cui l’Europa è un’importante periferia potrebbe seguire lo stesso destino.


Ultimamente mi sono imbattuto in un sito divertente. Probabilmente in un prossimo futuro quest’idea avrà un successo milionario simile a quello di YouTube. Credo che sia interessante soprattutto per i blogger in cerca di notorietà, i cosiddetti “egonauti”. Il sito si chiama GoogleFight e permette di effettuare sfide tra due termini presenti in Internet per scoprire il più citato o linkato, quindi il più famoso. Curiosamente Ségolène Royal, la vincitrice delle primarie per la scelta del candidato premier in Francia, ha ottenuto più occorrenze di Mahmoud Ahmadinejad, il presidente iraniano (3.480.000 a 1.420.000). I motivi possono essere tanti: la difficoltà di scrivere correttamente “Ahmadinejad”, il numero di internauti europei rispetto ai medio-orientali, il provincialismo europeo rispetto ai temi di importanza planetaria, la frivolezza della novità. Di certo fà riflettere il fatto che un leader di una importante potenza regionale così al centro dell’attenzione geopolitica internazionale sia meno citato di una signora che ha sì vinto le primarie in Francia, ma che in fin dei conti non è ancora nessuno (forse lo sarà dopo le Presidenziali del 2007).

Mark Steyn al contrario avrebbe sostenuto che anche questo è un epifenomeno della tendenza alla “femminilizzazione” della civiltà europea. Nel suo ultimo libro[3] Steyn sostiene che la minaccia islamista è la sfida più importante per l’Europa. L’autore punta il dito contro il retaggio dei due totalitarismi (fascista e comunista) nel Vecchio Continente. Traumatizzati dal fascino elettorale esercitato dal fascismo, nella fase successiva alla Seconda guerra mondiale, gli Stati europei furono costruiti in modo dirigenziale "per isolare quasi del tutto la classe politica dalle pressioni populiste". Con la conseguenza che l'establishment "arrivò a considerare gli elettori alla stregua di bambini". In secondo luogo, la minaccia sovietica durante la Guerra Fredda indusse la leadership americana, intollerante delle deboli reazioni dell'Europa (e del Canada), a prendere di fatto le sue difese. Questa politica benevola e lungimirante portò alla vittoria del 1991, ma sortì altresì l'involontario e meno salutare effetto collaterale di rendere disponibili degli stanziamenti europei per costruire uno stato sociale.
Questi processi hanno portato alle seguenti conclusioni:
- Lo stato ipergarantista ha trattato in modo infantile gli europei, incutendo in essi timori in merito a pseudo-questioni come il cambiamento climatico, femminilizzando al contempo gli uomini.
- Esso, inoltre, li ha inibiti sottraendo loro "la maggior parte delle fondamentali funzioni di adulti", a partire dall'istinto di riproduzione. Dal 1980 circa i tassi di natalità sono crollati, lasciando una inadeguata base previdenziale per i lavoratori.
- Strutturato sulla base di un sistema teso a limitare le spese al reddito effettivo, esso equivale a uno schema di Ponzi intergenerazionale
[4]
, dove i lavoratori odierni dipendono dai loro figli per le pensioni.
- Il crollo demografico implica che i cittadini autoctoni di paesi come la Russia, l'Italia e la Spagna si trovano all'inizio di una spirale da mortalità di popolazione.
- Esso ha portato a un crollo della fiducia che a sua volta ha generato un "esaurimento di civiltà" lasciando gli europei impreparati a lottare per il loro modo di vita.

Innanzitutto voglio esprimere il mio dissenso su un assunto di Steyn. Non credo che il cambiamento climatico sia uno pseudo-problema da “femminucce”. Anzi, ritengo che questa tematica è centrale ed influenzerà i rapporti di forza tra le potenze mondiali. Ritengo inoltre che una Rinascita del sentimento ambientalista simile al Rinascimento Italiano del XV secolo, possa determinare un ritorno in auge dell’Europa. Prima o poi infatti anche i cosiddetti paesi in via di sviluppo (Cina ed India su tutti) dovranno adeguarsi alle normative stabilite dal Protocollo di Kyoto e confermate dalla recente Conferenza di Nairobi. L’Europa possiede già il know-how ed il rispetto della natura necessari a guidare gli altri paesi.

Nel mese di Novembre 2006 ci sono state diverse ricerche di istituti italiani che confermano queste ipotesi di decadenza.
- Gli italiani non vogliano studiare le lingue chiudendosi in una sorta di autarchia culturale paradossale in piena globalizzazione dei mercati; inoltre l’uso delle lingue è ritenuta inutile per il 26% delle piccole imprese (ricerca condotta da Letitfly, organismo che si occupa delle ricerche sulla formazione linguistica degli italiani per conto del ministero del Lavoro, e dal Censis).
- Secondo il Cineas (consorzio universitario per l'ingegneria nelle assicurazioni), le paure degli italiani sono soprattutto emotive e non reali.
- Giovani sfiduciati, in cerca di protezione, ma con una visione del futuro che è come un campo aperto, pronti quindi a ogni possibilità, convinti che nessuna scelta sia per sempre. Dal Sesto Rapporto dell'Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, presentato al Ministro per le Politiche Giovanili e le Attività sportive Giovanna Meandri emerge che "siamo di fronte ad un marcato senso di appagamento materialistico nelle giovani generazioni”.
- Gian Maria Fara, presidente dell'Eurispes riassumendo il 7° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell'Infanzia e dell'Adolescenza realizzato da Eurispes e Telefono Azzurro, spiega che l'esigenza di un mondo migliore e di una società più giusta, che aveva plasmato le generazioni precedenti, è molto meno avvertita dai giovani di oggi. La politica non sembra essere in grado di proporre progetti, alimentare sogni, indicare prospettive di una società migliore. L'impossibilità della politica di proporsi in termini di progetto è percepita significativamente dai giovani".

Carroll Quigley, nella sua periodizzazione dell’evoluzione delle civiltà storiche, sostiene che il decadimento porta alla fase dell’invasione “quando la civiltà non è più capace di difendersi perché non ha più la volontà di difendersi, e si offre prostrata agli “invasori barbari”, spesso provenienti da un’altra civiltà, più giovane e più potente[5]. Come visto sono molti i segnali di questo processo di decadimento valoriale dell’Occidente.

Samuel P. Huntington afferma che il degrado morale più spesso rilevante comprende: l’aumento di comportamenti anti-sociali quali atti criminali, uso si droga e violenza in generale, decadimento dell’istituzione della famiglia (divorzi, figli illegittimi, famiglie monoparentali), declino del “capitale sociale” (associazioni di volontariato) e della fiducia interpersonale, indebolimento dell’”etica del lavoro” e la nascita di un culto dell’auto-indulgenza, minor impegno culturale (abbassamento del rendimento scolastico e scelta di facoltà umanistiche)[6].


Tale ragionamento rischia di ricadere sulle sabbie mobili di un relativismo culturale mai sopito. Ciò che i diversi autori imputano alla sfera del degrado dell’Occidente può infatti essere visto come una conquista in chiave emancipativa. Il pacifismo, i Pacs, i diritti dei gay, il narcisismo maschile per citarne alcuni, sono davvero una minaccia per l’integrità delle nostre culture?

La questione centrale è se esiste un’analogia tra il declino dell’Impero Romano con Roma al centro e il sempre più marcato indebolimento dell’egemonia occidentale con gli Stati Uniti come paese guida.
A mio avviso il parallelismo esiste. Il periodo attuale è caratterizzato da un allargamento dei centri di potere, dall’ascesa di popoli demograficamente potenti (cinesi e arabi), crescente insicurezza e zone franche prive di legislazione. Nasce un nuovo medio-evo in cui nuovi principi sfoggiano armi micidiali per evitare di essere a loro volta attaccati (Nord Corea ed Iran su tutti), in cui i regnanti si affannano a ricercare legittimazione da Dio per ottenere il consenso delle masse. La lingua inglese si volgarizza e rifioriscono idiomi connessi alle economie emergenti.

I ricorsi storici possono venirci in aiuto. Un nuovo Rinascimento Occidentale caratterizzato dal ritorno in auge di vecchi popoli che possiedono la Storia e la Cultura per superare le contraddizioni del presente. L’Europa è molto attenta al problema ambientale. Probabilmente questa tematica sarà centrale nel dibattito politico e tecnologico mondiale e l’Europa sarebbe pronta a prendere le redini di un nuovo corso storico.
Le civiltà che sopravvivono, infatti, sanno imparare dai propri errori.


[1]
Citando un celebre testo di
Giorgio Bocca, Basso Impero, 2003. Secondo l’autore Grazie a un’inedita mistura di fondamentalismo religioso e fondamentalismo economico, la superpotenza globale di Gorge W. Bush procede, tra lo stupore dell’Europa e del mondo, ad attuare il suo disegno di conquista economica e controllo militare. Ma lo stupore, argomenta Bocca, non ha ragion d’essere: il modello democratico americano è sempre stato fin dai suoi inizi legato alla ricchezza, vista come premio divino, e alla conquista, assai poco sensibile invece alle tematiche sociali e all’egualitarismo, a differenza dell’Europa, nella quale non solo la sinistra ma anche la destra ha sviluppato nel tempo una sensibilità sociale. Il fatto nuovo è la progressiva caduta delle giustificazioni, dei pretesti di cui si ammantava.
[2] Per un approfondimento della caduta dell’Impero Romano si consulti la monumentale opera di Edward Gibbon,
The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, vol. I, 1776; vols. II,III, 1781; vols. IV,V,VI, 1788. Gibbon sostiene che la caduta dell’Impero sia da imputare a diversi fattori. Il più determinante fu senz’altro la rilassatezza del popolo romano di fronte all’ardore dei popoli barbari. Gibbon ritiene che i romani siano diventati col tempo “effeminati” e pacifisti. Anche il culto cristiano ha influito sul processo di decadenza per via della credenza che esista una vita migliore dopo la morte. Si veda anche Peter Heather, La Caduta dell’Impero Romano, 2006.
[3] Marc Steyn, America Alone: The End of the World as We Know, 2006.
[4]
Ponzi era un furfante che fece fortuna col metodo che porta il suo nome, sfruttando la bolla immobiliare in California. Il meccanismo è semplice. Un tizio vi consegna 100 euro. Lo rimborsate con i 200 euro di altri due tizi che ne depositano 100 ciascuno dopo di lui. Questi ultimi due gonzi li rimborsate con i 400 euro versati dai quattro gonzi che arrivano eccitati dai racconti del primo gonzo. E’ chiaro che quest’ultimo, sbalordito per il fatto di essere stato pagato, rientra ben presto nella catena. Se il fenomeno si espande a valanga, quelli che entrano nella catena continuano ad aumentare. La bolla scoppia se uno dei felici vincitori non rientra. Alla fine guadagna chi lascia la nave in tempo (Sindrome del Titanic). Si veda Bernard Maris, Antimanuale di Economia, 2003.
[5]
Carroll Quigley, The Evolution of Civilization: An Introduction to Historical Analysis, 1961. Quigley individua un modello comune di evoluzione delle civiltà. La civiltà occidentale iniziò a formarsi gradualmente tra il 370 ed il 750 d.C., attraverso la commistione di elementi delle culture classica, semitica, saracena e barbarica. A un periodo di gestazione, protrattosi dalla metà del VIII alla fine del X secolo, seguì un movimento oscillatorio, inusuale tra le civiltà, tra fasi di espansione e fasi di conflittualità. L’Occidente appare oggi sul punto di uscire da una fase di conflittualià diventando un’area sicura, preludio del declino. Le civiltà crescono poiché possiedono uno “strumento di espansione”, vale a dire un’organizzazione militare, religiosa, politica o economica che accumula eccedenze e le investe in innovazioni produttive. Le civiltà declinano quando cessano di applicare queste “eccedenze” a nuovi modi di fare le cose. Sul caso americano si vedano anche
Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, 1987 e le ultime opere di Shmuel N. Eisenstadt.
[6]
Samuel P. Huntigton, The Clash of Civilizations and the Remarking of World Order, 1996.

sabato 18 novembre 2006

Cavalcando l'onda

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I sondaggi di per sè sono molto utili. Sono strumenti efficaci che i governanti usano per elaborare nuove politiche. Sono utilizzati dalle aziende che vogliono analizzare i gusti dei consumatori. I sondaggi sono, in un’epoca in cui tutti avranno il loro quarto d’ora di celebrità mediatica, un indispensabile mezzo di calibratura per le democrazie.


Sondare è compost
o da “sub” e “undare”. Letteralmente significa “sotto l’onda” e sta ad indicare l‘atto di misurare con lo scandaglio la profondità dell’acqua del mare di cui non si può vedere il fondo.
L’idea è semplice ma incredibilmente efficace. I sondaggi di opinione vengono effettuati presso campioni statisticamente rappresentativi della popolazione. Ciò sta a significare, ad esempio, che non tutti gli italiani vengono presi in esame per effettuare le misurazione dell’auditel.
Ragionando per assurdo si potrebbe quasi affermare che i provvedimenti di legge siano dei sondaggi rivolti a rappresentanti del Paese su tematiche che riguardano l’opinione stessa del popolo rappresentato. Si tratterebbe quindi di meta-sondaggi[1]. L’unica differenza dal comune sondaggio, direttamente percepibile dai cittadini è la valenza esecutiva del “sondaggio parlamentare” che viene codificato in norme.
Questo meccanismo potrebbe rivelarsi pericoloso a cause dell’insorgere di “bolle d’opinione” del tutto assimilabili alle bolle speculative nei mercati finanziari. Quando nasce un trend, esso si autoalimenta e spesso si hanno conseguenze inaspettate.

Il 58% degli italiani giudica molto o abbastanza negativa l'azione del governo Prodi, contro il 39% che esprime un giudizio molto o abbastanza positivo. Sono questi alcuni dei risultati di un sondaggio commissionato da “Ballarò” di Giovanni Floris alla società Ipsos che lo ha effettuato lunedì 30 novembre su un campione di 1000 persone rappresentativo della popolazione italiana adulta
[2].
Gli italiani non appoggerebbero più questo governo, nato soltanto sei mesi fa e per di più senza che abbia potuto attuare alcuna politica determinante di programma (eccetto la Riforma Bersani), per vederne gli effetti. Questa è la ragione per la quale una forma di democrazia diretta sarebbe perlomeno caotica, non darebbe coerenza al corpus legislativo e sarebbe troppo legato agli opinion leaders del momento. I mullah islamici ricoprono egregiamente tale ruolo.
Inoltre il trend d’opinione, come detto, si auto-alimenta ed i frame comunicativi si appiccicano troppo velocemente agli uomini politici
[3]. Un Paese guidato dai sondaggi sarebbe inaffidabile, anarchico, populista. Eppure in Italia ogni nuovo sondaggio è usato in modo strumentale dai partiti per portare avanti battaglie politiche “in nome del popolo sovrano”.

I sondaggi sono davvero funzionali al benessere degli amministrati? Una legge non scritta del capitalismo stabilisce che un numero molto ridotto di persone possegga l’80% del capitale di una nazione.
Messa in questi termini, essendo il sondaggio rappresentativo della popolazione di riferimento, tenderà ad esprimere l’opinione del ceto medio-basso. Ma se analizziamo il caso italiano, ci accorgiamo che in realtà non è così. Le spiegazioni sono semplici. I possessori di capitale hanno molti strumenti di persuasione come quotidiani e media, ed inoltre possono mobilitarsi più facilmente avendo molti più mezzi a disposizione. In Italia sembra emergere un ceto medio-basso sempre più povero, non istruito, “ipnotizzato” dai media ed incapace di organizzarsi.
In Cina la situazione è diversa. Federico Rampini descrive un Impero in fermento
[4]. Città grandiose, belle e complesse. Aziende potenti ed ingegneri super-specializzati. Voglia di apprendere e modestia. Nuovi ricchi e piccoli spiragli per democrazia. Eppure in Cina vi sono almeno 800 milioni di poveri. Non esistono diritti sindacali. I movimenti di protesta sono debellati sul nascere. Lo Stato è assente e vincono le multinazionali. Le sterminate campagne non hanno ricevuto gli influssi benefici dell’apertura al capitalismo voluta da Deng Xiao Ping. La classe urbana o di neo-urbanizzazione sogna la scalata sociale e ha fiducia nel futuro. La classe contadina distante migliaia di chilometri da Shangai o da Pechino, non ha mezzi né conoscenze per emergere, ed è sempre più sfruttata. Soltanto il 20% della popolazione trae profitto dall’ascesa cinese. Bisogna ammettere che si tratta di un andamento fisiologico, è accaduto anche in Europa e negli USA e si sta riproponendo tuttora in una situazione di capitalismo maturo. La crescente disuguaglianza è stata infatti una issue determinante per la sconfitta di George W. Bush nelle elezioni di mid term. Nonostante ciò, nessuno obietta che in un prossimo futuro anche i contadini potranno beneficiarne.
Il paradosso è dietro l’angolo. Un eventuale sondaggio rivelerebbe che in questo momento storico l’80% dei cinesi sarebbe insoddisfatto del governo dittatoriale e chiederebbe dei cambiamenti, con conseguenze negative per i contadini stessi nel lungo periodo.
In un recente passato è accaduto che un’intera nazione, la Germania, si sentisse defraudata dalle condizioni imposte dalla Conferenza di Parigi del 1919, al termine della Grande Guerra. Erano i tempi della Repubblica di Weimar, debole e senza una vera guida. Hitler ne approfittò e prese il potere. La Germania, tutto sommato, accettò il regime così come accadde per l’Italia fascista. Un sondaggio d’opinione fatto allora avrebbe dimostrato proprio questo appoggio silenzioso al fuhrer a causa del risentimento e della voglia di restaurare una grande Germania. Quell’ipotetico sondaggio avrebbe provocato, come è successo, 50 milioni di morti.

Spesso i sondaggi rivelano una volontà che non si vuole attuare. Un excursus dell’inconscio. Una parola uscita tra i denti. A Napoli si sta vivendo un anno drammatico con clan che si combattono ed un clima di guerriglia permanente. Roberto Saviano ha descritto bene la realtà partenopea[5]. La maggioranza dei cittadini la pensa allo stesso modo. Eppure Napoli non vuole l’esercito e continua per la sua strada. E’ d’accordo con Saviano ma patteggia per lo status quo. La Camorra dà da vivere e il dissenso sarebbe troppo pericoloso. Un sondaggio rivelerebbe questa necessità di un’azione rapida contro la Camorra, ma la popolazione la contrasterebbe nei fatti in una sorta di nazionalismo cittadino.

Altre volte i sondaggi mostrano delle opinioni inesistenti. Accade perché i cittadini non hanno riflettuto su determinati argomenti e perché fa comodo sostenere certe cose. Le persone sentono il desiderio di allinearsi all’opinione o alla morale media della massa. Pochi ammetterebbero di sostenere la pena di morte, ma molti ucciderebbero l’assassino dei propri figli.

Nelle democrazie mature i sondaggi rappresentano delle tecniche di marketing. Servono a creare l’agenda di tematiche di cui i cittadini devono tener conto[6]. Sono uno strumento di potere poiché selezionano gli argomenti da somministrare al popolo insabbiando tutti gli altri[7]. Sono spesso commissionati ad hoc. I quesiti sono manipolati, retorici. La risposta è depositata nella domanda.
Più che misurare, i sondaggi hanno la forza di scavare gli abissi.


[1] Il concetto si può applicare agli speculatori di Borsa. Essi infatti scommettono sull’andamento dei prezzi di determinati settori e aziende in base a congetture del tipo: come si comporteranno tutti gli altri speculatori?
[2] Notizia tratta da “Il Resto del Carlino” del 2 novembre 2006. Il sondaggio completo: negativo anche il giudizio sulla legge finanziaria: il 42% ritiene che dopo l'approvazione della legge le cose peggioreranno, il 38% pensa che non cambieranno e solo il 12% si dice sicuro che miglioreranno. La maggioranza degli italiani (56%) non rimpiange comunque il governo Berlusconi, per il quale nutre nostalgia il 41%. Un eventuale governo di larghe intese che metta insieme i principali partiti delle due coalizioni è ritenuto non pensabile dal 40% degli italiani, utile ma non praticabile dal 29%, da fare al più presto dal 19%. I caso di nuove elezioni una larga maggioranza (62%) vorrebbe nuovi leaders, mentre il 31% vorrebbe ancora in lizza Prodi e Berlusconi.
[3] Gorge Lakoff, Non Pensare all’Elefante, 2006. L’autore spiega quanto le parole e la comunicazione siano decisive per far presa su elettori poco razionali. Questi rispondono a frame (cornici di significato) radicati nel nostro inconscio e se i fatti non rientrano in quelle categorie il nostro cervello li rifiuta. Per raggiungere gli elettori, tutti i temi del dibattito politico devono essere collegati tra loro all’interno di uno schema più ampio e familiare (grandi metafore). La tesi di Lakoff è che i democratici americani non sanno usare le tecniche comunicative. Cosa che invece riesce benissimo ai repubblicani (gli elefanti).
[4] Federico Rampini, Il Secolo Cinese, 2005 e L’Impero di Cindia, 2006
[5] Roberto Saviano, Gomorra, 2006
[6] La teoria dell’agenda setting è stata elaborata in modo compiuto da E. Shaw e afferma quanto segue: "In conseguenza all'uso dei Mass - Media e dei mezzi di informazione, il pubblico è consapevole o ignora, dà attenzione o trascura, enfatizza o neglige elementi degli scenari pubblici. La gente tende ad includere o escludere dalle proprie conoscenze ciò che i Media includono o escludono dal proprio contenuto. Il pubblico inoltre tende ad assegnare a ciò che esso include, una importanza che riflette da vicino l'enfasi attribuita dai mass- Media agli eventi, ai problemi e alle persone". E.Shaw, Agenda Setting and Mass Comunication Theory, in Gazette (International Jurnal for Mass Comunication Studies) vol. XXV, n.2, 1979.




domenica 12 novembre 2006

2050

Technorati Profile

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Il periodo che stiamo vivendo è l’incubatore del mondo che verrà. Diversi autorevoli studiosi convergono verso una data che potrebbe schiudere un nuovo modo di concepire il mondo ed i suoi rapporti di forza, maggiormente orientati alla lungimiranza e alla saggezza. Sempre se ci diamo una regolata adesso.










Quando nel 1968 Stanley Kubrick diresse 2001 A Space Odyssey[1], ipotizzò che in tal data sarebbe accaduto un fatto sconvolgente e rivoluzionario: di ritorno dal viaggio su Giove sarebbe nato un uomo nuovo ed una nuova epoca. Sappiamo tutti com’è finita. Nel 2001 abbiamo assistito al crollo delle Twin Towers e alla fine del sogno post-storico di Francis Fukuyama[2].
Anche Robert Zemeckis in Back to the Future aveva pensato ad un futuro, in questo caso il 2015, tutto sommato rassicurante.
Star Trek di Gene Roddenberry esalta la convivenza pacifica tra popoli, la fine del capitalismo e la priorità del progresso sull’utilitarismo egoistico. Prevale la scoperta sulla conquista.
George Lucas in Star Wars ha immaginato un universo diviso e guerrafondaio. I popoli continuano ad essere in conflitto tra loro anche a livello interplanetario.

Probabilmente la realtà sarà molto diversa da quanto è stato previsto. Il 2010 non sarà l’anno del contatto con una razza aliena ma forse la data in cui gli Stati Uniti si ritireranno dall’Iraq. E il 2050 sarà l’anno del nuovo corso oppure la data del disastro.

Il 2050 sarà un anno cruciale per l’umanità e molto dipenderà dalle politiche che avremo attuato per prepararci ad esso. Costituirà una cesura del continuum storico e stravolgerà il modo in cui interpretiamo il mondo, allo stesso modo in cui il 2001 ha messo in luce le contraddizioni del precedente regime “freddo”. Dal 1945 fino al 1991, infatti, tutti i rapporti tra Stati ruotavano intorno alle due grandi superpotenze e alle loro ideologie.
Oggi abbiamo il difficile compito di risolvere problemi del tutto nuovi, a cui non siamo ancora preparati, per mezzo di vecchie infrastrutture mentali ed istituzionali.


L’establishment politico si trova a gestire tre ordini di processi.
Processi di matrice politica. Gli schieramenti partitici si polarizzeranno intorno a nuove fratture lasciando alle spalle i modelli destra/sinistra fondati sulla questione dell’uguaglianza[3], e che risentono tuttora di paradigmi ideologici ante 1989. Così accade che crisi essenzialmente ecologiche vengono gestite con vecchi strumenti bellici e diplomatici[4].
Processi istituzionali. Basti pensare all’anacronistica governance dell’ONU. Il diritto di veto riservato alle potenze vincitrici alleate non rispecchia gli attuali equilibri globali.
Processi culturali come la battaglia che bisogna intraprendere contro l’atteggiamento etnocentrico di stampo occidentale che ha plasmato le politiche europee ed americane.

A volte, come ci insegna Umberto Eco, la storia si riavvolge su se stessa
[5]. Anche questa fase storica si concluderà nella spirale hegeliana della “sintesi” come momento di equilibrio tra “tesi” e “antitesi”. E’ pressoché impossibile per un contemporaneo osservare e comprendere appieno ciò che sta vivendo ed è altresì improbabile conoscerne i possibili sviluppi. Si tratta della stessa contrapposizione prospettica tra ciò che guardiamo dinnanzi a noi e ciò che vedremmo a bordo di un aereo. Di solito, se non riusciamo ad osservare un determinato fenomeno sociale, è perché è tutto intorno. Non percepiamo i micro-cambiamenti e gli incrementi d’intensità.

Il 2001 è stato l’anno in cui è venuto a galla ciò che si sapeva dal 1989.
La questione dell’identità persiste. Nel mondo post-Guerra Fredda, le principali distinzioni tra i vari popoli non sono di carattere ideologico, politico o economico, bensì culturale. La politica al livello locale è basata sul concetto di etnia, quella al livello globale sul concetto di civiltà [6]. Le motivazioni religiose prevalgono su ogni altra spiegazione dell’ordine delle cose. La logica di Westfalia e l’imperialismo occidentale hanno fomentato spirito di rivalsa in popoli frustrati Probabilmente vi saranno molti più centri di potere e di conseguenza i rapporti tra Stati saranno modellati secondo la visione di Samuel P. Huntington: scontri ed incontri di civiltà tra momenti di equilibrio precario.
Il premio Nobel Paul Samuelson ammette che nel 2050 il PIL cinese avrà raggiunto il PIL americano, mettendo fine definitivamente al dominio occidentale sul resto del pianeta[7].
Dalla fine della Guerra Fredda non vi sono state potenze accentratrici (come l’Impero Romano) o contrapposizioni pacificatrici (come lo scontro USA-URSS). Non si sono formati nuovi centri e nuove periferie. La conseguenza è che siamo catapultati in una sorta di Medio Evo Mediale che presenta i caratteri antitetici di un medio evo occidentale con feudi e insicurezze sociali, e i risultati raggiunti dall’illuminismo: democrazia, innovazione, media, capitalismo ed istruzione diffusa.

Democrazia e sviluppo economico seguono spesso percorsi incoerenti. La democrazia non sempre aiuta a sviluppare un progetto politico lungimirante e di lungo periodo. Dove c’è democrazia, infatti, si ha solitamente un Paese economicamente sviluppato con un ceto medio progredito, gruppi di interesse e partiti autorevoli e ben radicati. Da qui l’alternanza ed il prevalere di policies di breve respiro a vantaggio di particolari gruppi o aventi l’obiettivo di rendere mansueta l’opinione pubblica. In quest’ultimo caso il governo ricorre ad espedienti quali sgravi fiscali imprudenti e proclami populistici irresponsabili.
Dove c’è autoritarismo, invece, c’è un Paese che annaspa alla ricerca di una via per uscire dal sottosviluppo. Il ceto medio, le organizzazioni civili, e quindi lo sviluppo economico e sociale sono ancora deboli. L’oligarchia al potere dirige la crescita con pugno di ferro con lo scopo di ottenere alti tassi di crescita nell’immediato, a danno dell’ambiente e della sicurezza dei lavoratori.

Contemporaneamente i figli della ripresa economica del secondo dopo-guerra, i baby-boomers, andranno in pensione
[8]. I Paesi che maggiormente hanno goduto negli ultimi sessant’anni si ritroveranno in mano una bomba ad orologeria. I bassi tassi di natalità e di ricambio intergenerazionale provocheranno un corto circuito: pochi figli poveri finanzieranno le pensioni di moltitudini di padri benestanti.

Il WWF sentenzia che le risorse del pianeta si esauriranno entro il 2050. Per la metà di questo secolo, secondo uno studio della Commissione europea, il riscaldamento climatico potrebbe trasformare il mare del nord nella nuova "riviera" e ridurre il Mediterraneo in un'area torrida, con conseguenze drammatiche per il turismo e l'economia di Italia, Grecia e Spagna
[9]. Jeremy Rifkin evidenzia che la produzione mondiale di carne raddoppierà entro il 2050. Le terre occupate dai pascoli occupano oggi il 26 per cento della superficie terrestre non ricoperta dai ghiacci, oltre un terzo delle terre coltivabili è sfruttato oggi per produrre cereali per gli animali anziché per gli uomini e il bestiame genera il 18 per cento dei gas di serra. Tutto ciò fa sì che molte delle popolazioni più povere del mondo sono state confinate in terre marginali, un fenomeno che ha reso sempre più difficile per milioni di persone assicurarsi anche il più modesto apporto calorico quotidiano.
Per rimediare occorre che la politica del free rider dia spazio ad un nuova idea di maturità non più connessa al successo economico ed allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, bensì collegato all’ideale del benessere globale. Per il momento si potrebbero calcolare i cambiamenti climatici e le devastazioni umane sulla natura in termini di diminuzione del PIL[10].

Intorno alla metà di questo secolo la produzione di greggio terminerà [11] e le scorte riusciranno a compensare solo per qualche anno ancora le esigenze del sistema economico mondiale. Senza alternative si andrebbe verso uno scenario apocalittico post-nucleare ma con città ancora integre. Sicuramente nell’approssimarsi del punto di non ritorno, un uomo politico particolarmente illuminato a capo di una Stato o di una configurazione politica periferica dal punto di vista energetico come l’Unione Europea, porrà al primo posto della propria agenda il tema della rottamazione di tale regime economico fondato su così fragili palafitte energetiche. Dagli idrocarburi si opterà per una inedita forma di autarchia energetica strutturata sulle forze della natura inesauribili (come vento e maree), sulle nuove fonti pulite e sicure (come l’idrogeno), e su vecchie soluzioni implementate da nuove acquisizioni tecnologiche (come l’elettricità o olii vegetali).

Nel 2050 la curva demografica islamica, principale causa dei fermenti e dell’aggressività di questa civiltà assieme al risentimento anti-occidentale, raggiungerà la cima della U rovesciata. Da allora i confini saranno più sicuri. Il fronte medio-orientale non rappresenterà più un problema prioritario giacchè le nostre culture saranno già fortemente islamizzate così come gli Stati Uniti sono già largamente ispanizzati
[12]. Questo processo tendente al "melting pot" sarà però caratterizzato da scontri pesantissimi in termini di vite umane e di abdicazioni culturali. Assisteremo inoltre alla nascita di movimenti politici e civili di stampo fondamentalista improntati sulla frattura Cristianesimo/Islam.

Nel 2050 cesserà un sessantennio critico dal momento che scivoleranno sul tappeto un nucleo di tematiche che, se non saranno comprese ed affrontate con largo anticipo, possiedono alto potenziale distruttivo.
Dominati da istinti primordiali, manovriamo oggetti sensibili e letali. Lo spirito del capitalismo ha depauperato la natura con la convinzione che la rincorsa all’accumulazione personale sia un atteggiamento “furbo” o addirittura razionale [13].
Oggi le conoscenze scientifiche premettono di misurare il baratro. Alle nostre spalle il terreno si sta sgretolando. I governi e le organizzazioni interstatali devono gettare le basi per costruire un ponte che porti il mondo dall’altra parte. Nel 2051.




[1] Tratto da romanzo di Arthur C. Clarke, The Sentinel, 1948
[2] Francis Fukuyama, The End of History and the Last Man, 1992. L’autore sostiene che l’evoluzione non è cieca ma segue i dettami del liberalismo spinto dalla forza della razionalità.
[3] Norberto Bobbio, Destra e Sinistra, 1994.
[4] Jeffrey Sachs, Columbia University, Ottobre 2006.
[5] Umberto Eco, A Passo di Gambero. Guerre Calde e Populismo Mediatico, 2006
[6] Samuel P. Huntington, The Clash of Civilizations and the Remarking of World Order, 1996.
[7] Paul A. Samuelson, Previsioni per il futuro in Intenazionale n. 630, Marzo 2006.
[8] Roberto Leombruni-Matteo Richiardi, La pecora nera è giovane dentro su LaVoce.info, 04/09/2006.
[9] World Wide Fund For Nature, Living Planet Report 2006.
[10] Rapporto del 01/11/2006 su Le Economie dei Cambiamenti Climatici di Nicholas Stern, consigliere di Tony Blair. Secondo l’autore il pil mondiale potrebbe calare addirittura del 20% e l'1% del prodotto economico mondiale dovrebbe andare immediatamente in spese volte a sanare le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Alessandro Lanza-Marzio Galeotti-Edoardo Croci, Kyoto, l'importanza di guardare lontano, 24/02/2004
[11] Anche se diversi autori sostengono che le ciò è inverosimile, tra cui Leonardo Maugeri, L'era del petrolio, 2006
[12] Samuel P. Huntington, La Nuova America. Le Sfide della Società Multiculturale, 2006.

Rating governativi


L’opposizione ripete di continuo che quello attuale è il peggiore governo dall’istituzione della Repubblica. Uno slogan semplice che cattura l’opinione pubblica[1].


E' possibile dare una graduatoria ad un governo? Quali sono i parametri di giudizio? Esiste un organismo che si preoccupa di stilare classifiche ai governi?
Come minimo occorrerebbe prender nota dei risultati raggiunti a distanza di qualche anno. E come si fa un’operazione di questo tipo? Si considerano le policies di una determinata amministrazione e poi si calcolano gli effetti sul tessuto economico sociale?
E come valutare gli effetti sull’ambiente? A esempio, Se il governo introduce un decreto grazie al quale disincentiva l’utilizzo dei depuratori, sicuramente l’impatto immediato sulle condizioni economiche saranno positive poiché le aziende avrebbero minori preoccupazioni e assumerebbero di più. Ma nessuno pensa agli effetti di lungo periodo?

Il Presidente del Consiglio Romano Prodi ha di recente esternato un personale malessere riguardo la scarsa preoccupazione del futuro da parte del popolo italiano e dei suoi rappresentanti.
«Il Paese è impazzito, nessuno pensa al domani», dice il Premier
[2].
Ma è la successiva affermazione di Prodi a evidenziare tutta la forza, ma anche il limite inevitabile della democrazia mediata: «Non temo gli scontenti perché le elezioni non sono vicine».

Se, come pensava J.A. Schumpeter, la democrazia serve ad arrivare a decisioni politiche per mezzo di una lotta competitiva per il voto popolare
[3], allora è vero che il governo in carica non ha da temere alcunché proprio in virtù del fatto che le prossime elezioni sono lontane (o almeno si presume che lo siano). L’idea di democrazia di Schumpeter va però coniugata con la forza raggiunta dall’opinione pubblica grazie all’agenda che i media gli impongono. Secondo Friedrich, infatti, i cittadini attivamente partecipanti obbligheranno l’intera squadra di governanti a essere maggiormente ricettiva e responsabile[4]. Ma, aggiungo io, il principio delle “reazioni previste” farà in modo che ogni compagine partitica tenderà inevitabilmente in ogni momento della vita della Legislazione a ritagliarsi il proprio spicchio di senso, tenendo fede della logica del marketing politico. Ogni partito tenderà a vendersi ad una nicchia di potenziali votanti. Prevale l’egoismo di parte sulla sintesi politica tra tutte le fazioni in gioco. La maggioranza oggi si regge sul trasversale sentimento anti-berlusconiano. Questo è il motivo principale per cui il governo è costretto a concedere favori alle varie componenti una coalizione tanto composita, facendo di fatto prevalere una logica miope di breve periodo.
I governi e i governanti rispondono alle domande degli elettori (se formulate in modo tale da minacciare il loro potere e prestigio) perché sono interessati alla rielezione; e in situazioni di risorse scarse, le risposte verranno date soltanto a quelle domande che si impongono sia perché avanzate da gruppi dotati di potere sui governi e sui governanti, sia perché congruenti con il programma politico presentato agli elettori
[5]. Questo è lo schema da cui partire per analizzare compiutamente le dinamiche dell’esecutivo Prodi.

Il complesso scenario socio-economico attuale non consente di valutare le proposte legislative nel breve e medio periodo. Le leggi devono inserirsi nel contesto sociale, “abbracciare” il popolo. Inoltre bisogna mettersi in testa che la coperta (economica) è corta, non si può accontentare tutti. Alexis De Tocqueville elogiava nella democrazia americana soprattutto la capacità di assorbire gli interessi delle lobbies per mezzo delle organizzazioni nate dal basso
[6]. Ma laddove tali organizzazioni sono troppo potenti e possono bloccare il normale funzionamento del sistema, com’è accaduto per i controllori di volo durante l’Amministrazione Reagan[7], è ragionevole pensare di sacrificare alcuni legittimi interessi per il benessere comune. A tal fine è opportuno che l’elite al potere comunichi efficacemente il piano d’azione ed il risultato da raggiungere. Il primo governo Prodi aveva ben chiaro l’obiettivo e di conseguenza il popolo accettava con maggior entusiasmo la stretta economica.
David Easton, il padre dell’analisi sistemica della politica, ritiene che il processo di decisione può essere complicato da immissioni di input prodotti dalla stessa autorità politica e non solo quindi dai bisogni provenienti dal basso
[8].

In che misura i precedenti governi riescono ad influenzare le politiche del governo in carica?
Le leggi di questo governo sono anche frutto della sua precarietà. Situazione determinata da una legge elettorale a dir poco scriteriata. Ecco il motivo per cui i criteri di giudizio devono essere rivisti. Abbiamo sotto agli occhi il discusso “Indultino”, necessario al fine di svuotare le carceri dopo la Bossi-Fini e la legge sulla droga voluti dal governo Berlusconi; infine va considerata la Legge Finanziaria, che è “dura” ma è stata promossa dalla UE e serve a coprire i buchi determinati da una non ottima gestione del governo precedente.

Autorevoli amministrazioni si trovano in una situazione di precarietà simile a quella italiana.
La Große Koalition tedesca è in difficoltà sul piano dell’efficacia delle proprie policies, inattuabili o troppo poco incisive. Il governo tedesco di Angela Merkel è ostaggio dei centristi poco inclini a svolte riformistiche che abbiano un reale effetto. Il governo italiano è invece vittima dell’estremismo della sinistra radicale che propone scelte eclatanti che scontentano più della metà degli elettori.
George W. Bush, in seguito al voto di mid term deve amministrare in coabitazione con i Democratici. La democrazia americana è caratterizzata da un sistema di pesi e contrappesi che sterilizza le decisioni del Presidente il quale deve scendere a patti con l’opposizione capitanata da Nancy Pelosi. Anche tale condizione inciderà sulle future leggi dell’Amministrazione Bush.
La qualità delle decisioni politiche di un governo non sono calcolabili e risentono di troppi fattori. Stilare una graduatoria è un paradosso o un non sense. Soprattutto se questi giudizi vengono espressi a distanza di qualche giorno dalla prima decisione determinante presa dall’esecutivo.


[1] Gianfranco Fini ad esempio: “Questo e' il peggiore governo della storia repubblicana". Quello di Prodi non e' un governo di centro-sinistra, ma di sinistra". E' un governo "prigioniero delle peggiori nostalgie della sinistra radicale". L'esecutivo, quando cadra', e spero presto, cadra' per una rottura al centro", 06/11/2006 da “Repubblica”.
[2] L’intervento completo di Romano Prodi estrapolato dal “Corriere della Sera del 12/11/2006: «È inutile fare politica vivendo sull'oggi. Ormai siamo in un Paese impazzito che non pensa più al domani. Io ho fatto una Finanziaria che pensa allo sviluppo domani, dopodomani e nei prossimi anni, che pensa a ricostruire il Paese. Con una Finanziaria del genere si fanno molti scontenti. Ma questo non mi fa paura perché non ci sono elezioni imminenti e perché è ora che i politici governino anche scontentando, ma per il bene di tutti. Lo ripeto: scontentare a volte significa fare il bene di tutti».
[3] J.A. Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy, 1942
[4] Carl J.Friedrich, The significance of the Constitution Draft prepared by the SED, 1946
[5] Gianfranco Pasquino, Corso di Scienza Politica, 1997
[6] Alexis De Tocqueville, La Democrazia in America, 1835.
[7] Nel 1981 i controllori di volo proclamarono uno sciopero bloccando quindi il traffico aereo americano Reagan decise un licenziamento di massa, scavalcando i sindacati.
[8] David A. Easton, A Framework for Political Analysis, 1965.